Il mare è agitato oggi

E anche io un pochino.

Non è facile per me venire in vacanza con mia madre e mia sorella. Ma lo faccio spesso. Chissà cos’è, una forma di masochismo o un altro inutile tentativo di cambiare anche una piccola cosa ?

Ma poi lo so, è uno studio. per riuscire a trovare quella chiave per salvare me stessa anche se in una piccola cosa.

Approfondisco con la mente di un’adulta ciò che non comprendevo da bambina, ciò che mi ha turbato, segnato, insegnato. Ciò che ha forgiato le mie parti peggiori.

Le mie paure. Perché io ho paura, ho una costante paura di sottofondo.

Parlo spesso di sottofondo.

Ho tante sensazioni di sottofondo che mi accompagnano. Sono molteplici, io sono moltitudine. Una moltitudine di rumori di sottofondo.

E cosa c’è sopra a questo sottofondo?

Poco. Perché poco emerge, perché?

Semplice: ho paura.

Della rabbia, dell’ira, del disprezzo, dello sbaglio, di tutte le emozioni negative che mi ha incollato addosso mia madre e che io ho cercato, e cerco, di scollarmi e che si depositano nel sottofondo.

Mami vuoi un po’ di frutta?

Lei arriccia il naso, alza il labbro superiore a formare una esse con svirgola, il labbro inferiore lo segue, e scuote la testa disgustata nei confronti dell’argomento e disprezzando chi lo ha proposto.

Ecco un semplice: no grazie Maria Emma al momento non ne ho voglia, sarebbe andato bene.

Ma il “no” mia madre lo esprime così, con il disgusto e il disprezzo.

E se questa è la misura in cui esprime il suo rifiuto nei confronti di una pietanza di cui in quel momento non ha voglia, la misura in cui esprime un “no” su richieste ritenute da una bambina molto importanti… è devastante.

E quando ero bambina questo sguardo e questa senso di disgusto mi terrorizzavano.

Ecco perché vengo in vacanza con loro, per consolare la Maria Emma bambina.

Citazioni da: “La passeggiata dell’ubriaco” di Leonard Mlodinow – Edizione Rizzoli

Nuotare in senso opposto alla corrente dell’intuito è difficile: come vedremo, la mente umana è progettata per identificare una causa precisa per ogni evento e quindi può avere difficoltà ad accettare l’influenza di fattori non collegati o casuali.

Quindi il primo passo è capire che il successo o il fallimento a volte non derivano né da grandi abilità né da grande incompetenza ma, come scrisse l’economista Armen Alchian, da “circostanze fortuite”.

I processi casuali sono un meccanismo fondamentale in natura e pervadono le nostre vite ogni giorno, eppure la maggioranza delle persone non li comprende né ci riflette su.

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“Regressione verso la media”: in ogni serie di eventi casuali, un evento straordinario ha alte probabilità di essere seguito, per puro caso, da uno più ordinario.

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…gli essere umani per necessità impiegano certe strategie per ridurre la complessità delle situazioni da giudicare, e in quel processo l’intuito sulle probabilità svolge un ruolo importante.

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Un abisso di casualità ed incertezza intercorre tra la creazione di un grande romanzo – o un gioiello, o un biscotto alle scaglie di ciocciolato – e la presenza di altissime pile di quel romanzo – o gioielli, o scatole di biscotti – all’ingresso di migliaia di negozi.

E’ per questo che le persone di successo in ogni ambito sono quasi sempre membri di uno stesso gruppo: il gruppo delle persone che non si arrendono.

Molte cose che ci accadono, il successo nel lavoro, negli investimenti, nelle decisioni importanti e meno importanti,  dipendono in parte da fattori casuali e in parte da abilità, competenze e duro lavoro.

Quindi la realtà che percepiamo non è un riflesso diretto delle persone o delle circostanze che ne sono alla base, ma è piuttosto un immagine sfocata, su cui agiscono forze esterne imprevedibili e variabili.

Non vuol dire che l’abilità non sia importante, anzi è uno dei fattori che aumentano la probabilità di successo; ma il legame tra azioni e risultanti non è diretto come ci piace credere.

[…] Decidere in che misura un esito sia dovuto all’abilità e in che misura invece alla fortuna, non è una faccenda semplice.

Gli eventi casuali spesso si comportano come acini di uvetta in una scatola di cereali: si aggregano in gruppi, in strisce, in grappoli.

E se la dea bendata è equa nel distribuire le potenzialità, non lo è altrettanto nei risultati.

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Euristica della disponibilità: nel ricostruire il passato diamo troppa importanza ai ricordi più vividi e quindi più facili da recuperare.

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Di recente gli psicologi hanno scoperto che la capacità di perseverare di fronte agli ostacoli è un fattore del successo almeno altrettanto importante del talento puro. E’ per questo che gli esperti parlano spesso della regola dei dieci anni: ci vogliono almeno dieci anni di duro lavoro, dedizione ed impegno per avere grande successo in quasi tutti gli ambiti.

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E’ la natura umana che ci spinge a cercare schemi e ad assegnare loro un significato quando li troviamo.  Kahneman e Tversky hanno analizzato molte delle scorciatoie che impieghiamo per valutare le regolarità riscontrate nei dati e per esprimere giudizi in condizioni di incertezza e le hanno soprannominate euristiche.

[…] le euristiche possono condurre ad errori sistematici. Kahneman e Tversky chiamavano questi errori “bias”, distorsioni: tutti usiamo le euristiche e tutti cadiamo vittima di distorsioni.

[…] E così alla fine del novecento si è iniziato a studiare come la mente umana percepisce la casualità. I ricercatori sono giunti alla conclusione che “le persone hanno un’idea molto errata della casualità: non la riconoscono quando la vedono e non sanno produrla quando ci provano”.

[…]Agli esseri umani piace esercitre il controllo sull’ambiente che li circonda. […] Il nostro desiderio di controllare gli eventi non è privo di scopo, perché un senso di controllo personale è necessario per la nostra autocoscienza e autostima. […] se gli eventi sono casuali, noi non possiamo controllarli, e se possiamo controllarli allora non sono casuali. C’è dunque una contraddizione di fondo tra la nostra esigenza di controllo e la nostra abilità di riconoscere la casualità. Questa contraddizione è uno dei motivi principali per cui sbagliamo ad interpretare gli eventi casuali.

[…] La Langer ha dimostrato ripetutamente come l’esigenza di controllo interferisca con l’accurata percezione degli eventi casuali. […] attribuiamo molto più valore ai risultati e alle nostre capacità di influenzarli. E così nella vita reale è ancora più difficile resistere all’illusione del controllo.

[…] Le ricerche hanno evidenziato che l’illusione di poter controllare gli eventi casuali è più intensa in ambito finanziario, sportivo e soprattutto aziendale, in cui un esito casuale è preceduto da un periodo di attività strategica, quando il compito richiede un coinvolgimento attivo, o quando c’è una competizione. Il primo passo per sconfiggere l’illusione del controllo è esserne consapevoli.

[…] Quando siamo in preda ad un’illusione invece di cercare modi per dimostrare che le nostre idee sono sbagliate, di solito cerchiamo di dimostrare che sono giuste. Gli psicologi lo chiamano “bias di conferma”, ed è un grosso ostacolo che ci impedisce di interpretare correttamente la casualità.

[…] Come scrisse nel 1620 il filosofo Francesco Bacone: “l’intelletto umano, quando trova qualche nozione che lo soddisfa, o perché ritenuta vera, o perché avvincente e piacevole, conduce tutto il resto a convalidarla ed a coincidere con essa. E, anche se la forza o il numero delle istanze contrarie è maggiore, tuttavia o non ne tine conto per disprezzo, oppure le confonde con distinzioni e le respinge, non senza grave e dannoso pregiudizio, pur di conservare indisturbata l’autorità delle sue prime affermazioni”.

 Quel che è peggio, non solo preferiamo cercare prove che confermino le nostre nozioni preconcette, ma inoltre interpretiamo le prove ambigue in favore delle nostre idee. Questo può essere un grosso problema perché i dati sono spesso ambigui, quindi ignorando alcuni schemi ed enfatizzandone altri possiamo essere condotti a rinforzare le nostre convinzioni anche in assenza di dati persuasivi.

[…] Quindi anche schemi casuali possono essere interpretati come prove convincenti, se si relazionano alle nostre nozioni preconcette.

 Il bias di conferma ha molte conseguenze spiacevoli nel mondo reale.

Con l’evoluzione il cervello umano è diventato molto efficiente nel riconoscimento degli schemi ricorrenti: ma come mostra il bias di conferma, ci concentriamo sul trovare e confermare schemi anziché sul minimizzare le nostre false conclusioni.

[..]

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[…] quanto contribuisce la casualità al nostro presente? E fino a che punto siamo in grado di prevedere il futuro?

Molti studiosi di scienze umane, dal tardo Rinascimento all’età vittoriana, condividevano le idee deterministiche di Laplace.

Ritenevano, come Galton, che la nostra vita fosse determinata dalle nostre qualità personali o, come Quételet, pensavano che il futuro della società fosse prevedibile.

Spesso traevano ispirazione dal successo della fisica newtoniana e credevano che il comportamento umano fosse prevedibile con la stessa attendibilità degli altri fenomeni naturali.

[…]Negli anni sessanta, un metereologo di noeme Edward Lorenz cercò di impiegare le tecnologie all’avanguardia per applicare le teorie di Laplace nell’ambito limitato della meteorologia.

[…] Solitamente gli scienziati partono dal presupposto che se le condizioni iniziali di un sistema vengono leggermente alterate, il sistema evolverà in maniera leggermente diversa.

[…] ma Lorenz scoprì che queste piccole differenze conducono a enormi variazioni nei risultati. Il fenomeno fu battezzato: “effetto farfalla”: mutamenti atmosferici così piccoli che potrebbero essere stati causati dal battito d’ali di una farfalla possono avere enormi ripercussioni sull’evoluzione delle condizioni meteo in tutto il mondo.

[…] In realtà accade proprio questo: per esempio il tempo perso per ber un caffè potrebbe farci incontrare la nostra futura moglie alla stazione, o impedirci di essere investiti da un auto che passa con il rosso.

[…]Quando ci guardiamo indietro e ricordiamo gli eventi più significativi della nostra vita, non è raro riuscire ad identificare simili eventi caotici, apparentemente, irrilevanti, che invece hanno generato grandi cambiamenti.

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Il determinismo negli affari umani non risponde a criteri di prevedibilità cui alludeva Laplace, per vari motivi.

In primo luogo, per quanto ne sappiamo, la società non è governata da leggi chiare e fondamentali come è la fisica.

Anzi il comportamento delle persone non è solo imprevedibile ma, come hanno mostrato ripetutamente Kahneman e tversky, spesso è anche irrazionale.

In secondo luogo, se anche potessimo scoprire le leggi degli affari umani, come cercò di fare Quételet, è impossibile conoscere o controllare precisamente le circostanze della vita.

E in terzo luogo gli affari umani sono così complessi che difficilmente potremmo svolgere i necessari calcoli quand’anche comprendessimo le leggi e possedessimo di dati.

Di conseguenza il determinismo è un modello inefficace per descrivere l’esperienza umana. O, come scrisse il premio Nobel Max Born: “la casualità è un’idea più fondamentale della causalità”.

Nello studio scientifico dei processi casuali, la passeggiata dell’ubriaco rappresenta l’archetipo: ed è anche un modello adatto a descrivere le nostre vite, perché come i granuli di polline che galleggiano nel fluido browniano, anche noi veniamo continuamente sospinti qua e là dagli eventi casuali.

Di conseguenza benché nei dati sociali si possano trovare regolarità statistiche, il futuro dei singoli individui è impossibile da prevedere: e per i nostri successi, il lavoro, gli amici, i soldi, siamo debitori al caso più di quanto si possa pensare.

[…] anche nelle nostre vite, a ben guardare, ci accorgiamo che molti grandi eventi sarebbero andati diversamente se non fosse stato per la confluenza casuale di fattori minori, persone incontrate per caso, opportunità di lavoro che ci sono capitate fortuitamente.

[…] un percorso punteggiato da impatti casuali e conseguenze inattese è il percorso compiuto da molte persone di successo, non solo nella carriera, ma anche in amore, negli hobby, nelle amicizie. Anzi, è più la regola che l’eccezione.

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[…] non ci accorgiamo degli effetti della casualità sulla vita perché quando valutiamo il mondo tendiamo a vedere ciò che ci aspettiamo di vedere.

[…] Il filo che lega l’abilità al successo è al contempo allentato ed elastico. E’ facile trovare buone qualità nei libri di successo, o riscontrare carenze nei manoscritti inediti, o nelle persone che lottano per affermarsi in ogni campo. E’ facile credere che le idee che hanno funzionato fossero buone idee, i piani che hanno avuto successo fossero ben congegnati, e che le idee e i progetti non coronati dal successo fossero sbagliati fin dall’inizio.

[..] ma l’abilità non garantisce risultati, né i risultati sono proporzionali all’abilità. Quindi è importante tenere sempre in mente l’altro termine dell’equazione: il ruolo del caso.

[…] Può essere una scoperta anche solo rendersi conto dell’ubiquità dei processi casuali nelle nostre vite, il vero potere della teoria dei processi casuali risiede però nel fatto che, una volta compresa la natura di tali processi, possiamo alterare il nostro modo di percepire gli eventi che accadono intorno a noi.

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Ho scritto questo libro nella convinzione che possiamo riorganizzare il nostro pensiero di fronte all’incertezza: possiamo diventare più bravi a prendere decisioni  e frenare alcuni pregiudizi che ci spingono a dare giudizi errati e fare cattive scelte. Possiamo cercare di capire la qualità di una persona o di una situazione prescindendo dai risultati e possiamo imparare a giudicare le decisioni in base allo spettro di esiti che avrebbero potuto produrre, anziché in base al particolare risultato che si è concretizzato.

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[…] credo sia importante pianificare se lo facciamo ad occhi aperti.

Ma la cosa più importante che mi ha insegnato l’esperienza di mia madre è che dobbiamo apprezzare la fortuna che abbiamo, e individuare gli eventi casuali che contribuiscono al nostro successo.

Mi ha insegnato anche ad accettare gli eventi fortuiti che possono procurarci dolore. Soprattutto mi ha insegnato ad apprezzare l’assenza di sfortuna, l’assenza di eventi che avrebbero potuto metterci in crisi, e l’assenza di malattie, guerre, carestie e di quegli incidenti che non ci sono capitati.

Ciao Lady

Che poi si è scoperto che non era Ifigenia ma Lady Chatterly, che io infatti me lo ero chiesto come si fa a riconoscere una gallina dall’altra, si un cane si un gatto ma una gallina … però pare che si possa anche con le galline, ma in questo caso non si è potuto e si è fatto il funerale a Ifigenia che invece è viva e vegeta è Lady Chatterly che ci ha lasciati. C. quell’ormone grosso ha chiamato in soccorso M. un omino piccolo ma medico quindi l’unico che poteva fare qualcosa, ha chiesto due fili di lampada per de fibrillare, sì come in tutti pazzi per Mary, perché poi alla fine tutti un po’ pazzi lo siamo, non per Mary però, ma per conto nostro.

Alla fine Ifigenia anzi no Lady Chatterly è stata trasportata in una scatola verso il pronto soccorso correndo all’impazzata con il fazzoletto bianco fuori del finestrino da nord a sud della città, perché me lo dici tu qual’e il pronto soccorso veterinario specializzato in galline aperto la domenica? Perché queste cose succedono di domenica.

Si qualcuno consigliava di tirarle il collo e fare un bel brodino.

Invece è stata intubata ma non ha superato la notte.

Ciao Lady grazie per le tue uova.

A. è ancora fortemente in imbarazzo per la tragedia che ha provocato il suo cane.

D’altra parte è da caccia, non ha fatto altro che seguire la sua natura.

Vita di PI – Pubblico Impiegato- Riflessioni XXXVI – fluidità

Quindi noi in ufficio per la programmazione mensile delle presenze dobbiamo compilare all’inizio di ogni mese il file Excel delle presenze – che si trova in una particolare cartella nell’area condivisa dell’ufficio del personale – con indicazione dei giorni di lavoro in presenza e dei giorni di lavoro in agile.

Per i giorni di ferie dobbiamo compilare all’inizio di ogni mese , o all’occorrenza, il file Excel – che si trova in un’altra particolare cartella nell’area condivisa dell’ufficio del personale – con indicazione dei giorni in cui saremo in ferie.

Poi, all’inizio di ogni mese, o all’occorrenza, dobbiamo implementare il file Excel delle presenze indicando i giorni in cui saremo o siamo stati in ferie, e il file Excel delle ferie con indicazione dei giorni in cui lavoreremo in presenza o in agile.

E infine per essere autorizzati dobbiamo inserire il giorno stesso un permesso nel sistema a seconda della tipologia di presenza agile o ferie entro una determinata ora che sarà autorizzato dal nostro capo e che poi l’ufficio del personale ad un’altra determinata ora scarica come file per controllare le presenze che si unisce alla rilevazione delle presenze tramite badge di chi è in ufficio in presenza.

E ci si chiede ancora perché la burocrazia italiana non è fluida ?

Grazie amiche

Una seduttrice, un’egoista, una succube, e un genio. Questo ho capito, dopo 25 anni, essere le mie amiche storiche.

La seduttrice. Dopo aver sofferto e subito la maggior parte delle sue conquiste amorose, perché si da il caso fossero gran parte dei ragazzi per cui avevo un interesse, scopro che non si rende neanche conto di essere seduttiva con tutti gli uomini che incontra e mi confessa di avere tantissimi complessi in fatto di sesso.

L’egoista. L’ho introdotta io nel gruppo. Dopo anni di amicizia, un patto di sangue affinché rimanessimo amiche per sempre come quelli che si fanno da ragazzine nei bagni della scuola, scopro che è stata la trascinatrice che ha determinato con fermezza la mia uscita dal gruppo.

La succube. Nonostante il tempo trascorso lontano c’è ancora la complicità, la sintonia e l’ironia coinvolgente che ha caratterizzato tutta la nostra amicizia. Dispiace solo che soccomba ancora in alcune situazioni.

Il genio. Il genio fa sembrare i suoi successi, inarrivabili per i più, come traguardi semplicissimi, il tutto senza altezzosità o arroganza. Seguo con piacere da lontano tutti i suoi racconti di oltreoceano.

Mi sono mancate molto in questi anni, ma unendo i puntini scopro che è stato un bene per me. La timida. La timidezza può essere invalidante. Può impedire di vivere con facilità le più semplici relazioni interpersonali.

L’allontanamento coatto mi ha giovato, tirati via i cuscini su cui mi adagiavo una volta, quali erano le mie amiche, ho dovuto imparare a far diventare se non facili in assoluto, più facili per me, le relazioni interpersonali.

Vi ringrazio amiche e sono contenta che ci frequentiamo nuovamente dopo 25 anni.

Vita di P.I. – Pubblico Impiegato – Riflessioni XXXV- About a woman

L’ho cronometrata, hai presente quando si parla di curva dell’attenzione, ecco quella mi sembra di ricordare che duri 15 minuti.

Lei no, lei dura al massimo 4 minuti.

Ti assicuro. Ho svolto tutto in maniera scientifica. Come dicevo l’ho cronometrata più volte al giorno per più giorni. Sono in stanza con lei da Febbraio e adesso che è Aprile i risultati del mio studio posso ritenerli esatti.

Non ci credi?

Ti ripeto, te lo assicuro. Lei lavora in maniera continuativa per un periodo di tempo massimo pari a 4 minuti.

Ciò significa che può durare anche meno, ovvio.

Dopo questo periodo di tempo massimo smette di lavorare e inizia a parlare, o con me, o telefona. Oppure manda messaggi scritti o vocali. Alternativa è controllare non sia mai sia successo qualcosa in uno dei suoi tanti social, e se c’è un video non può fare a meno di guardarlo rigorosamente con audio a palla. È possibile altrimenti che legga le notizie del giorno e si senta in dovere di rendermene partecipe, soprattutto quelle divertenti quelle che la fanno scoppiare in una fragorosa risata mentre io la incenerisco con lo sguardo, da dietro il monitor sia chiaro, vorrei mettere a verbale che sto cercando di migliorare me stessa e di essere più gentile in ufficio. Se ci sono delle notizie video comunque non se le fa scappare, ad alto volume comprese le pubblicità. Altra possibilità è che metta le cuffie per ascoltare musica su you tube e cantare, si canticchia tenendo il ritmo con il piede sul pavimento. Altrimenti si stiracchia sulla sedia improvvisando posizioni di yoga che dice essere state fornite da un serio yogi, accompagnando i movimenti con sonori lamenti dovuti al mal di schiena. Sennò interloquisce con chi passa per il corridoio davanti alla stanza, anche solo con un semplice “ciao” urlato come se non ci fosse un domani, o semplicemente ripetendo in cantilena il nome della persona che passa, o per rispondere lei ad una domanda che il malcapitato passante faceva al suo diretto interlocutore, ovviamente urlando perché le persone che lei avrebbe voluto imbrigliare in una conversazione sono già passate oltre la porta.

Ci sono anche le volte in cui dopo massimo 4 minuti di lavoro si alza e lascia la stanza, bagno, caffè, acqua al distributore, o magari per seguire quelli che sono passati prima in corridoio e non hanno raccolto la sua “proposta” di inserirsi nella conversazione.

E quando esce io mi accascio tipo palloncino sgonfio poggiando una guancia sulla scrivania con le braccia penzoloni al di là del bordo, respiro profondamente ed espiro esausta.

Perché anche nei quattro minuti in cui lavora parla, sì, parla. Fa la telecronaca di quello che scrive o dei passaggi sul pc.

Apro, salvo, chiudo. Si fa riferimento alla protocollo numero del … ma quel file dov’era in questa cartella? Ah no forse quella…poi voglio vedere un attimo una cosa, allora, questo qui… ah si… e questo cos’è?

E anche quando esce dalla stanza accompagna con un suono onomatopeico i suoi passi.

E poi … tira su con il naso e deglutisce rumorosamente e io vado al manicomio.

Dunque ho fatto uno studio scientifico anche sulla durata di tutte queste pause dal lavoro di 4 minuti max. Le pause che non implicano un’uscita dalla stanza durano anch’esse massimo 4 minuti. Se esce dalla stanza sono sicura che posso rimanere in posizione palloncino afflosciato per più tempo.

La cosa importante nella vita da isola è pianificare le proprie attività e trovo che la chiave sia dividere la giornata in unità di tempo della durata di non più di trenta minuti: le ore intere possono intimorire un po’ e la maggior parte delle attività richiede circa mezz’ora”. (About a boy-Will, interpretato da Hugh Grant)

La mia collega di stanza ha fatto come Will, ma anche le mezzore la intimorivano un po’ e ha optato per pianificare ogni sua attività in un lasso di tempo massimo di 4 minuti, accompagnata sempre da un sottofondo sonoro.

Non c’è sconfitta nel cuore di chi se ne sbatte il cazzo

Le scritte sui muri regalano spesso perle di saggezza.

Se riuscissi davvero a farlo sarei salva dalla mia monkey mind che mi ripete in continuazione che il dovere viene prima del piacere che se il dovere non è portato a termine nel migliore dei modi non meriti il piacere.

E in questo loop mentale permetto a chiunque di essere il mio implacabile giudice e siccome compiacere e avere l’approvazione di chiunque è impossibile, il traguardo che mi impone la mia monkey mind è irraggiungibile e la sconfitta è quindi inevitabile.

Che fatica.

Premonizioni

Sin da piccola, ma intendo proprio bambina, avevo la sensazione, un presentimento che mi preoccupava: i meccanismi familiari si sarebbero ripetuti come degli schemi predefiniti e se non avessi reagito avrei vissuto la stessa vita che vivevano mia zia e mio zio.

Mia sorella si sarebbe sposata, avrebbe avuto dei figli, saremmo stati tutti fagocitati e condizionati a vivere la nostra vita secondo i dettami della sua.

Così come ha fatto mia madre.

Io sarei rimasta incastrata in questo ingranaggio senza mai riuscire ad affrancarmi. Non mi sarei sposata, non sarei andata via di casa, non avrei scelto il lavoro del mio cuore e avrei vissuto la mia vita come un satellite orbitando attorno alla vita di mia sorella.

Così come fa mia zia, e come ha fatto anche mio zio finché in vita, orbita intorno al pianeta principale sviluppando una rabbia sordida nei confronti della vita, impossibilitata a compiere scelte autonome perché ogni alternativa è repressa.

La conseguenza è un difficile rapporto con il mondo femminile, ogni qualvolta interpreto qualche segnale anche innocuo come un condizionamento faccio scattare l’interruttore salvavita, interrompo il flusso di energia che mi fa risuonare e divento vigile, guardinga.

Avevo ragione quando ero bambina, i modelli familiari si ripetono, e la mia auto realizzazione è stata difficilissima e in alcuni campi della vita non si è concretizzata, come si nota nella categoria Vita di Pi, ma i miei sforzi – enormi considerando la mia profonda insicurezza- sono stati ripagati, e la vita è stata generosa in altri campi.

Vita di P.I. – Riflessioni XXXIV

Retaggi antichi di una pubblica amministrazione che pensa di svecchiarsi rinfrescando la facciata con termini anglosassoni, ma che al suo interno pensa ancora che il potere si misuri con la grandezza delle piante nella stanza ed esercita il suo potere conferendo incarichi di sudditanza

Il direttore ha chiesto di annaffiare le piante durante la sua assenza per ferie.

Fanno a gara per occuparsene.

D’altra parte è noto che i premi non vengono assegnati in base alla produttività.

Ecco, il cbd

Mi piacerebbe per un giorno o due, forse meglio tre, sapere cosa si prova ad avere una sicumera tale da pensare di essere sempre nel giusto.

Pensare la cosa giusta, dire la cosa giusta, farlo al momento giusto, agire nel modo più giusto.

Io mi metto sempre in discussione.

Una volta un mio collega, dopo un episodio che ritengo superfluo raccontare mi disse “ora ho capito cosa significa essere belli”.

Ecco io vorrei poter dire “ora ho capito cosa significa essere sicuri di se stessi”.

Perché sarò stata pure bella e ora avrò ancora su di me i segni di una passata bellezza, ma non sono mai stata sicura di me stessa.

L’insicurezza è come un’armatura inscalfibile.

Ti stringe in una morsa soffocante. Ti toglie il respiro. Ti intrappola l’energia e la fa uscire in maniera esplosiva con un timing sbagliato e con una dirompenza inopportuna che ti fanno sprofondare in una odiosa sensazione di inadeguatezza.

E come se non bastasse le frasi dette e i gesti compiuti ti rimangono nel cervello, che, bastardo, te li ripropone quando meno te lo aspetti facendoti ricadere a piombo nel baratro di quella misera sensazione.

Non mi vergogno a dirlo, tra i tanti rimedi a un qualcosa di irrimediabile il più efficace che ho trovato ultimamente è il cbd.

Ecco, il cbd.

Nessun rimedio all’insicurezza, ma all’ansia da prestazione che essa ti provoca sì.

Ora ci penso

Ci rivediamo qui tutte insieme a 50 anni.

Sulla scalinata della chiesa, quella chiesa la cui architettura ho sempre amato.

Era l’ultimo giorno di scuola ma non l’ultimo assoluto, un ultimo qualunque.

Meno male che non si fa questo incontro.

Ricordo che mi immaginavo superlativa a 50 anni. Chissà le cose che avrei creato.

Perché io questa cosa di creare l’ho sempre avuta dentro di me.

Disegni, colori, idee, progetti, fotografie, scritti.

Chissà.

E infatti chi lo sa.

Sto qui in un ufficio a controllare la regolarità delle documentazione.

Che poi in questo paese essere regolari è così difficile. E ancora più difficile è capire come essere regolari.

Che poi ti guardi Report il lunedì e pensi fanculo al controllo della regolarità dei documenti.

E mi sento così affranta perché non ho creato niente.

Eppure molti miei colleghi sono così fieri.

Sembra che occupino il posto più importante del pianeta.

Lo si nota soprattutto dall’abbigliamento.

Ecco io sono così annoiata che non creo nulla neanche quando mi vesto per andare in ufficio. Ho comprato una serie di maglie nere e maglie bianche, le abbino con i jeans e il colore a volte solo per le giacche o le sciarpe. Alle volte neanche mi trucco. Sto ore davanti a carte e pc, per quel che mi riguarda gonna, vestito, jeans o caftano poco cambia.

Mi ero detta smetto quando voglio.

E non ho smesso mai e ora so che non potrò smettere mai. O meglio fino a quando l’onda narrativa lo consentirà.

Intanto mi sono iscritta a un corso di fotografia e mi sono detta che avrei dovuto farlo per professione, quando avrei voluto, senza incertezze.

Ma questa è la mia parte distruttiva.

La parte costruttiva sogna, forse è questo che un po’ mi ha fottuto, sognare.

Ma che intendevo con superlativa?

Alla fine io superlativa in qualche cosa lo sarò.

Ora ci penso.

A noi

A noi non piace chiudere le porte finestre prima di andare a dormire, ma se uno di noi va per primo a chiudere, l’altro lo raggiunge per aiutarlo.

E se uno si accorge che l’altro ha già chiuso le porte finestre ci diamo il cinque ridiamo e siamo felici.

A noi piace avere la bottiglia di acqua vicino al letto per la notte, e prima di coricarci urliamo dalla cucina: vuoi l’acqua? E se l’altro l’ha già presa per entrambi ridiamo e ci diamo il cinque e siamo felici.

Ma se già coricati ci accorgiamo di non avere l’acqua ridiamo e e ci lamentiamo ma ci alziamo entrambi dal letto e chi fa per primo va.

A noi piace avere la macchinetta del caffè pronta con la sveglia della mattina, ma non ci piace lavarla dopo averla usata, quando uno si accorge che l’altro l’ha già lavata ridiamo e ci diamo il cinque e siamo felici.

Traguardo

Mia madre non si rende assolutamente conto di quanta influenza abbia avuto e abbia tutt’ora su di me.

Facile per lei dire che ognuno compie le proprie scelte. Le scelte non sempre sono del tutto proprie.

Facile per me scaricare su di lei la colpa della mie scelte, è solo un bieco tentativo di alleviare quel senso di disprezzo che provo nei miei confronti per non avere avuto il coraggio di vivere la maggior parte della mia vita seguendo le mie idee, i miei sogni, i miei desideri, le mie aspettative.

Troppo forte il desiderio di compiacerla, di raggiungere quell’approvazione tanto agognata, di voler smorzare quel l’affanno provocato dal rincorrere sempre quello che ancora c’era da raggiungere per arrivare a sentirla soddisfatta senza capire che era ed è impossibile raggiungere il traguardo se il traguardo veniva e viene continuamente allontanato e quei sogni ricorrenti di me che cammino e non mi muovo e che voglio urlare ma la voce non esce e che mi fanno da accudire un neonato che puntualmente si ritrova in fin di vita.

Flashback

Da quando è morto mio padre ho dei flashback.

No, non riguardano lui. Su mia madre, mia sorella e mia zia, anche mia nonna a volte.

Dolorosi?

Mah…

Non li definirei dolorosi, piuttosto direi che sono fastidiosi. Sì, Mi molestano.

Mi fanno ricordare le origini del mio sentirmi inadeguata, inappropriata in ogni situazione.

Sai stavo cercando dei sinonimi di inadeguato e tra questi c’è “infecondo”.

Chissà che anche la mia infertilità non derivi da questo senso di inadeguatezza che vive dentro di me come un rumore di sottofondo che mi accompagna costantemente.

Eppure generalmente il rumore non si propaga nel vuoto.

Quindi mi sembra strano che questo rumore riesca a propagarsi, perché spesso sento un vuoto interno incolmabile.

Riesco comunque a stare in questo fastidio, lo gestisco. Non sempre bene, ma me la cavo.

L’esposizione costante a questo rumore non inquina più la mia vita di oggi, come invece ha fatto con la mia vita passata.

Cenere

Rileggo le bozze antiche del mio blog, quelle mai pubblicate, quelle che poi le rileggo e le sistemo e le pubblico, ma poi le rileggo e non le sistemo e non le pubblico.

Perché?

Perché leggo solo cattiveria.

Traspira da quelle parole un livore nei confronti della maggior parte delle persone che ho incontrato lungo il cammino.

Incapace di mantenere una relazione interpersonale sana scrivo riversando la mia bile su chi incontro.

All’inizio dello scritto i toni sono pacati, distaccati, quasi flemmatici.

Analizzo la situazione da lontano.

Ma più rivivo la situazione più i miei toni diventano irruenti, impetuosi e impietosi, fino a che non mi immergo completamente in quello che è successo e sprofondo in un abisso di rancore che ribollendo fuoriesce e parole incandescenti eruttano e come lava inarrestabile colano sul soggetto del mio scritto carbonizzandolo all’istante e di lui non rimane che cenere così come ciò che rimane dei miei rapporti interpersonali: cenere.

Plana dall’alto

Plana dall’alto.

Che cosa vedi?

Un uomo che non riesce a respirare in maniera omogenea.

Potrebbe essere ansia.

Potrebbe essere panico.

Per cosa?

Forse perché non riesce a controllare tutto.

Forse perché pensava di fare bene e invece ha scoperto che così non va bene.

Forse perché ora controllano di più tutto quello che esce con la sua firma.

Come influisce questo su di te ?

Mi trasmette ansia.

Tu sei sicura dell’esattezza di tutto quello che scrivi e che gli sottoponi?

No

Di chi è il dovere di controllare?

Suo e di chi firma ancora dopo.

Quando ha corretto ciò che hai scritto è successo qualcosa ?

No, ho corretto e basta

Ne sei uscita viva ?

Si

Ne sei uscita menomata nel fisico o nella mente ?

No

Stai lavorando al tuo meglio?

Si

Plana dall’alto e dimmi cosa vedi.

Vedo mio padre ed io bambina e sento che se gli porto qualcosa deve essere perfetta, non voglio che mi corregga.

Lui è tuo padre ?

No

Tu sei una bambina?

No

Ok allora direi che se ti concentri su questi due fatti fondamentali, puoi risolvere la situazione.

Vola

Ora sei libero.

Libero di esprimere completamente te stesso.

È nella sensazione della libera espressione del sé che si nasconde la gioia.

Recupera i tuoi sensi, la gioia passa attraverso di loro, non è pensata.

Non pensare la vita, impara a sentirla.

Non avere paura della libertà.

Vola Lori.

Vola in alto.

Vola più in alto che puoi.

E quanto in alto arriverai non sarà misurato solo dal livello di popolarità o di carriera che raggiungerai.

Si misurerà con i valori, con la morale, con la gentilezza, con la fermezza, con il rispetto, con la dolcezza, con l’empatia, con la temperanza, con l’espressione delle proprie emozioni e con lo stare nelle proprie sensazioni.

Se riuscirai a essere empatico con te stesso lo sarai anche con gli altri e riuscirai a vivere la gioia.

Coltiva le amicizie, ascolta le storie degli altri, c’è così tanta vita intorno a te.

È nei momenti di condivisione e di empatia che sentiamo la bellezza dell’unione con gli altri e con la vita.

Empatia con qualcuno significa risuonare con questo qualcuno.

È vero che non potrai risuonare con chiunque, ma ricorda che la mancanza di felicità, alle volte, è dovuta all’incaponirsi a voler risuonare con qualcuno con cui non potremmo mai risuonare.

Impara che tu meriti l’amore, meriti di provarlo e di riceverlo.

Impara a perdonarti per eventuali insuccessi o errori, passati o futuri.

Se per perdonarti dovrai passare attraverso la rabbia, fallo, non scacciarla, impara a scaricarla, perché quando non è possibile scaricare la rabbia la difesa dell’organismo è la paura.

La rabbia è l’antidoto alla paura.

E tu non devi avere paura.

Perché la paura blocca.

E invece tu devi volare.

Ascolta il tuo corpo, lui sa cosa vuole, di cosa ha bisogno, cosa lo nutre e cosa lo intossica, assecondalo.

Ascolta la tua mente, sempre brillante e attenta, ascoltala quando intorno a te c’è più silenzio, e nel silenzio abbi pazienza, la risposta arriverà.

Il silenzio Jacky è importante, non sottovalutarlo e non trascurarlo.

Coltivalo invece.

Il silenzio aiuta a formare i ricordi e i ricordi sono fondamentali per affrontare il futuro, i ricordi danno forma alle opinioni e le opinioni ti aiuteranno ad analizzare e ad affrontare le situazioni che nel corso degli anni la vita ti proporrà.

Prendi appunti se vuoi.

Scrivere i propri pensieri aiuta e rileggersi ancora di più.

Leggi, informati, studia, sii curioso, la conoscenza e la cultura rendono indipendenti.

Rincorri i tuoi sogni.

Vola Lori

Vola più in alto che puoi.

Ti meriti il bello della vita.

Vita di PI – Pubblico Impiegato- Riflessioni XXXIII

La mia capa la riconosci subito, è quella che sorride sempre e io diffido di chi sorride sempre.

È quella che è sempre contenta di venire a lavorare e io diffido di quelli che appaiono sempre contenti di andare a lavorare.

È quella che arriva sempre per ultima in ufficio oltre l’orario previsto di ingresso salutando a voce alta scandendo i nomi di tutti mentre percorre trafelata il corridoio.

È quella che “sono appena arrivata devo prendere il caffè altrimenti non connetto” e intanto si fanno le dieci del mattino.

È quella che chiama alla sua corte i suoi adepti per tenerle compagnia durante il caffè per ciacolare di quanto è stanca perché le è successo questo e anche quello, ma pensa te.

È quella che soddisfatta del suo monologo “ma sono le 10.30 cosa fate qui andate subito a lavorare” con sottofondo di battito di mani.

È quella che “ma che carina questa borsa dove l’hai presa?” – in vacanza in Inghilterra questa estate – “E perché non l’hai comprata anche per me!?”.

La riconosci subito perché è un’ape fucaiola che si crede un’ape regina, tuttavia nella realtà è una semplice ape operaia ovificatrice la cui sopravvivenza è garantita esclusivamente in assenza di un’ape regina la quale inibirebbe lo sviluppo del suo apparato riproduttore.
Il suo apparato riproduttore infatti è in grado di deporre uova sì, ma non fecondate e ne depone un numero indeterminato, più sono meglio è.
Da queste uova nascono e si sviluppano i fuchi e l’ape fucaiola ha bisogno dei fuchi, la mia capa si circonda così di un indeterminato numero di fuchi, i mei colleghi.
E come ben sanno gli apicoltori un alveare non sopravvive in caso di presenza di api fucaiole, perché generando esclusivamente fuchi l’alveare non avrà lunga vita.

Ora io vorrei continuare con questa similitudine, ma mi sono un po’ incartata.
La verità è che mentre scrivevo ho saputo che la notizia che girava ufficiosamente è diventata ufficiale.
L’ape fucaiola se ne va, da fine gennaio non sarà più la mia capa, colei che ha reso il mio 2018 l’unico anno veramente orribile della mia vita lavorativa se ne va.

Ed io sono veramente felice.

Perché sì è vero i miei racconti sulla mia vita da impiegato sono sempre pieni di insoddisfazione lavorativa, ma mai e dico mai ho passato un anno così intriso di falsità, di cattiveria, di livore, di invidia, di gratuite meschinità come quello che mi ha fatto vivere lei e più cercavo di risolvere la situazione con le buone più lei si accaniva, più cercavo di risolver la situazione con le cattive più lei si inaspriva.

Ciao ape fucaiola.

So bene che si dice che al peggio non c’è mai fine e quindi può darsi che chi arriverà dopo di lei non sarà forse molto meglio, ma non credo di poter incontrare ancora una persona così capace di generare in me un malessere così profondo.

Ancora ciao ape fucaiola avevo pensato di dedicarti diversi post, un po’ per sfogarmi, un po’ per esorcizzarti, ma ora sapendo che non dovrò più avere rapporti lavorativi gerarchici con te ho deciso che non ti dedicherò più neanche un piccolo pensiero, figuriamoci dei post.

Vita di P.I. – Pubblico Impiegato – Riflessioni XXXII

Certo, si, ti devo aggiornare sulle mie novità lavorative, perché nel corso del 2018 c’è stato un avvicendamento dei vertici.

È cambiato il direttore e il vice direttore.

Il mio capo se ne è andato ed io ho una nuova capa.

Ho cambiato servizio e quindi ho cambiato colleghi.

La mia nuova capa ha deciso di farmi cambiare materia lavorativa e quindi sto imparando, o meglio mi sto barcamenando in totale assenza di formazione e affiancamento.

Ma al momento non ho tempo, quindi ti faccio solo un piccolo flash per farti capire come sto.
Un piccolo flash sulla cena di fine anno con la mia nuova capa e i miei nuovi colleghi.

Le abbiamo fatto un regalo di Natale con annesso biglietto da firmare.
Ecco la mia firma come sai perché comprare in tutte le foto del blog è questa.

Al momento di firmare il biglietto del regalo per la capa la mia firma è venuta più o meno così.

Ora io non sono un’esperta calligrafica, ma non credo ci sia bisogno di esserlo per capire quanto malessere ho dentro e quanto non mi trovi molto bene in questo nuovo gruppo, con questa nuova capa e con questa nuova materia lavorativa.

Sensi di colpa 

Mi sento in colpa se sono felice.

Mi sento in colpa se ho un giorno di ferie e lo dedico solo a me stessa non portando mia madre da qualche parte.

Mi sento in colpa se ho un giorno di ferie e porto mia madre da qualche parte non dedicandolo solo a me stessa.

Mio padre mi dice, porta a fare un giro tua madre, mi sento in colpa perché non ho alcuna voglia di portare in giro mia madre, perché mia madre porta in giro con sé una sensazione di incompletezza, di malinconia e io mi sento in colpa anche per questo.

Io l’ho vista felice solo nelle foto del suo matrimonio, e nelle foto del matrimonio di mia sorella, e nelle foto del mio matrimonio.

Però il suo matrimonio non la completa, mia madre dice che ha sempre rinunciato alle sue esigenze per soddisfare quelle di suo marito.

Però mia sorella ha divorziato, mia madre di che che un matrimonio è anche fatto di rinunce, non si possono soddisfare solo le proprie esigenze a discapito di quelle del marito.

Però io non mi sono sposata in chiesa, mia madre dice che non è sicura che sia valido ugualmente, dice che ha chiesto conferma ad un prete.

Però il prete ha detto che è valido ugualmente, mia madre questa volta tace. Un silenzio rimbombante.

Probabile che pensi che brucerò all’inferno.

D’altra parte oltre a non essermi sposata in chiesa ho portato a sopprimere, per evitare ulteriori atroci sofferenze dovute alla malattia, il mio cane, mia madre dice che ha chiesto al prete se è omicidio. Però il prete ha detto che non è omicidio. Mia madre questa volta pare che creda al prete.

Ecco poi ora ci penso e mi sento in colpa: non è tutto vero quello che dico, ossia è vero, ma io a mia madre voglio molto bene e quindi mi sento un’ingrata, piena di sensi di colpa.

Così su due giorni di ferie il primo lo dedico solo a me stessa, combattendo anche un po’ con i sensi di colpa, ma il secondo lo dedico anche a lei, sempre combattendo con i sensi di colpa.

Perché ne avevo due.

E se ne avessi avuto uno?

Mia madre in macchina dice che stava pensando, poco prima che arrivassi, che spera di morire in ospedale perché se muore a casa può darsi che il suo medico di base si rifiuti di fare il certificato di morte, o può darsi che il suo medico di base muoia prima di lei, ma dice che poi si è consolata pensando che mio marito di medici ne conosce tanti, troverà qualcuno che farà il certificato di morte per sua suocera.

Mamma mi sembra un ottimo primo argomento di conversazione, molto allegro.

Ma a me Maria Emma la morte non mette tristezza, spero che Dio mi porti in paradiso, dove starò sicuramente meglio.

Mamma allora non ci incontreremo perché io sarò quella che brucia all’inferno per aver commesso omicidio e aver contratto un matrimonio civile.

E per non riuscire a combattere i sensi di colpa.