Il mare è agitato oggi

E anche io un pochino.

Non è facile per me venire in vacanza con mia madre e mia sorella. Ma lo faccio spesso. Chissà cos’è, una forma di masochismo o un altro inutile tentativo di cambiare anche una piccola cosa ?

Ma poi lo so, è uno studio. per riuscire a trovare quella chiave per salvare me stessa anche se in una piccola cosa.

Approfondisco con la mente di un’adulta ciò che non comprendevo da bambina, ciò che mi ha turbato, segnato, insegnato. Ciò che ha forgiato le mie parti peggiori.

Le mie paure. Perché io ho paura, ho una costante paura di sottofondo.

Parlo spesso di sottofondo.

Ho tante sensazioni di sottofondo che mi accompagnano. Sono molteplici, io sono moltitudine. Una moltitudine di rumori di sottofondo.

E cosa c’è sopra a questo sottofondo?

Poco. Perché poco emerge, perché?

Semplice: ho paura.

Della rabbia, dell’ira, del disprezzo, dello sbaglio, di tutte le emozioni negative che mi ha incollato addosso mia madre e che io ho cercato, e cerco, di scollarmi e che si depositano nel sottofondo.

Mami vuoi un po’ di frutta?

Lei arriccia il naso, alza il labbro superiore a formare una esse con svirgola, il labbro inferiore lo segue, e scuote la testa disgustata nei confronti dell’argomento e disprezzando chi lo ha proposto.

Ecco un semplice: no grazie Maria Emma al momento non ne ho voglia, sarebbe andato bene.

Ma il “no” mia madre lo esprime così, con il disgusto e il disprezzo.

E se questa è la misura in cui esprime il suo rifiuto nei confronti di una pietanza di cui in quel momento non ha voglia, la misura in cui esprime un “no” su richieste ritenute da una bambina molto importanti… è devastante.

E quando ero bambina questo sguardo e questa senso di disgusto mi terrorizzavano.

Ecco perché vengo in vacanza con loro, per consolare la Maria Emma bambina.

Ciao Lady

Che poi si è scoperto che non era Ifigenia ma Lady Chatterly, che io infatti me lo ero chiesto come si fa a riconoscere una gallina dall’altra, si un cane si un gatto ma una gallina … però pare che si possa anche con le galline, ma in questo caso non si è potuto e si è fatto il funerale a Ifigenia che invece è viva e vegeta è Lady Chatterly che ci ha lasciati. C. quell’ormone grosso ha chiamato in soccorso M. un omino piccolo ma medico quindi l’unico che poteva fare qualcosa, ha chiesto due fili di lampada per de fibrillare, sì come in tutti pazzi per Mary, perché poi alla fine tutti un po’ pazzi lo siamo, non per Mary però, ma per conto nostro.

Alla fine Ifigenia anzi no Lady Chatterly è stata trasportata in una scatola verso il pronto soccorso correndo all’impazzata con il fazzoletto bianco fuori del finestrino da nord a sud della città, perché me lo dici tu qual’e il pronto soccorso veterinario specializzato in galline aperto la domenica? Perché queste cose succedono di domenica.

Si qualcuno consigliava di tirarle il collo e fare un bel brodino.

Invece è stata intubata ma non ha superato la notte.

Ciao Lady grazie per le tue uova.

A. è ancora fortemente in imbarazzo per la tragedia che ha provocato il suo cane.

D’altra parte è da caccia, non ha fatto altro che seguire la sua natura.

Grazie amiche

Una seduttrice, un’egoista, una succube, e un genio. Questo ho capito, dopo 25 anni, essere le mie amiche storiche.

La seduttrice. Dopo aver sofferto e subito la maggior parte delle sue conquiste amorose, perché si da il caso fossero gran parte dei ragazzi per cui avevo un interesse, scopro che non si rende neanche conto di essere seduttiva con tutti gli uomini che incontra e mi confessa di avere tantissimi complessi in fatto di sesso.

L’egoista. L’ho introdotta io nel gruppo. Dopo anni di amicizia, un patto di sangue affinché rimanessimo amiche per sempre come quelli che si fanno da ragazzine nei bagni della scuola, scopro che è stata la trascinatrice che ha determinato con fermezza la mia uscita dal gruppo.

La succube. Nonostante il tempo trascorso lontano c’è ancora la complicità, la sintonia e l’ironia coinvolgente che ha caratterizzato tutta la nostra amicizia. Dispiace solo che soccomba ancora in alcune situazioni.

Il genio. Il genio fa sembrare i suoi successi, inarrivabili per i più, come traguardi semplicissimi, il tutto senza altezzosità o arroganza. Seguo con piacere da lontano tutti i suoi racconti di oltreoceano.

Mi sono mancate molto in questi anni, ma unendo i puntini scopro che è stato un bene per me. La timida. La timidezza può essere invalidante. Può impedire di vivere con facilità le più semplici relazioni interpersonali.

L’allontanamento coatto mi ha giovato, tirati via i cuscini su cui mi adagiavo una volta, quali erano le mie amiche, ho dovuto imparare a far diventare se non facili in assoluto, più facili per me, le relazioni interpersonali.

Vi ringrazio amiche e sono contenta che ci frequentiamo nuovamente dopo 25 anni.

Non c’è sconfitta nel cuore di chi se ne sbatte il cazzo

Le scritte sui muri regalano spesso perle di saggezza.

Se riuscissi davvero a farlo sarei salva dalla mia monkey mind che mi ripete in continuazione che il dovere viene prima del piacere che se il dovere non è portato a termine nel migliore dei modi non meriti il piacere.

E in questo loop mentale permetto a chiunque di essere il mio implacabile giudice e siccome compiacere e avere l’approvazione di chiunque è impossibile, il traguardo che mi impone la mia monkey mind è irraggiungibile e la sconfitta è quindi inevitabile.

Che fatica.

Premonizioni

Sin da piccola, ma intendo proprio bambina, avevo la sensazione, un presentimento che mi preoccupava: i meccanismi familiari si sarebbero ripetuti come degli schemi predefiniti e se non avessi reagito avrei vissuto la stessa vita che vivevano mia zia e mio zio.

Mia sorella si sarebbe sposata, avrebbe avuto dei figli, saremmo stati tutti fagocitati e condizionati a vivere la nostra vita secondo i dettami della sua.

Così come ha fatto mia madre.

Io sarei rimasta incastrata in questo ingranaggio senza mai riuscire ad affrancarmi. Non mi sarei sposata, non sarei andata via di casa, non avrei scelto il lavoro del mio cuore e avrei vissuto la mia vita come un satellite orbitando attorno alla vita di mia sorella.

Così come fa mia zia, e come ha fatto anche mio zio finché in vita, orbita intorno al pianeta principale sviluppando una rabbia sordida nei confronti della vita, impossibilitata a compiere scelte autonome perché ogni alternativa è repressa.

La conseguenza è un difficile rapporto con il mondo femminile, ogni qualvolta interpreto qualche segnale anche innocuo come un condizionamento faccio scattare l’interruttore salvavita, interrompo il flusso di energia che mi fa risuonare e divento vigile, guardinga.

Avevo ragione quando ero bambina, i modelli familiari si ripetono, e la mia auto realizzazione è stata difficilissima e in alcuni campi della vita non si è concretizzata, come si nota nella categoria Vita di Pi, ma i miei sforzi – enormi considerando la mia profonda insicurezza- sono stati ripagati, e la vita è stata generosa in altri campi.

Ecco, il cbd

Mi piacerebbe per un giorno o due, forse meglio tre, sapere cosa si prova ad avere una sicumera tale da pensare di essere sempre nel giusto.

Pensare la cosa giusta, dire la cosa giusta, farlo al momento giusto, agire nel modo più giusto.

Io mi metto sempre in discussione.

Una volta un mio collega, dopo un episodio che ritengo superfluo raccontare mi disse “ora ho capito cosa significa essere belli”.

Ecco io vorrei poter dire “ora ho capito cosa significa essere sicuri di se stessi”.

Perché sarò stata pure bella e ora avrò ancora su di me i segni di una passata bellezza, ma non sono mai stata sicura di me stessa.

L’insicurezza è come un’armatura inscalfibile.

Ti stringe in una morsa soffocante. Ti toglie il respiro. Ti intrappola l’energia e la fa uscire in maniera esplosiva con un timing sbagliato e con una dirompenza inopportuna che ti fanno sprofondare in una odiosa sensazione di inadeguatezza.

E come se non bastasse le frasi dette e i gesti compiuti ti rimangono nel cervello, che, bastardo, te li ripropone quando meno te lo aspetti facendoti ricadere a piombo nel baratro di quella misera sensazione.

Non mi vergogno a dirlo, tra i tanti rimedi a un qualcosa di irrimediabile il più efficace che ho trovato ultimamente è il cbd.

Ecco, il cbd.

Nessun rimedio all’insicurezza, ma all’ansia da prestazione che essa ti provoca sì.

Traguardo

Mia madre non si rende assolutamente conto di quanta influenza abbia avuto e abbia tutt’ora su di me.

Facile per lei dire che ognuno compie le proprie scelte. Le scelte non sempre sono del tutto proprie.

Facile per me scaricare su di lei la colpa della mie scelte, è solo un bieco tentativo di alleviare quel senso di disprezzo che provo nei miei confronti per non avere avuto il coraggio di vivere la maggior parte della mia vita seguendo le mie idee, i miei sogni, i miei desideri, le mie aspettative.

Troppo forte il desiderio di compiacerla, di raggiungere quell’approvazione tanto agognata, di voler smorzare quel l’affanno provocato dal rincorrere sempre quello che ancora c’era da raggiungere per arrivare a sentirla soddisfatta senza capire che era ed è impossibile raggiungere il traguardo se il traguardo veniva e viene continuamente allontanato e quei sogni ricorrenti di me che cammino e non mi muovo e che voglio urlare ma la voce non esce e che mi fanno da accudire un neonato che puntualmente si ritrova in fin di vita.

Cenere

Rileggo le bozze antiche del mio blog, quelle mai pubblicate, quelle che poi le rileggo e le sistemo e le pubblico, ma poi le rileggo e non le sistemo e non le pubblico.

Perché?

Perché leggo solo cattiveria.

Traspira da quelle parole un livore nei confronti della maggior parte delle persone che ho incontrato lungo il cammino.

Incapace di mantenere una relazione interpersonale sana scrivo riversando la mia bile su chi incontro.

All’inizio dello scritto i toni sono pacati, distaccati, quasi flemmatici.

Analizzo la situazione da lontano.

Ma più rivivo la situazione più i miei toni diventano irruenti, impetuosi e impietosi, fino a che non mi immergo completamente in quello che è successo e sprofondo in un abisso di rancore che ribollendo fuoriesce e parole incandescenti eruttano e come lava inarrestabile colano sul soggetto del mio scritto carbonizzandolo all’istante e di lui non rimane che cenere così come ciò che rimane dei miei rapporti interpersonali: cenere.

Vola

Ora sei libero.

Libero di esprimere completamente te stesso.

È nella sensazione della libera espressione del sé che si nasconde la gioia.

Recupera i tuoi sensi, la gioia passa attraverso di loro, non è pensata.

Non pensare la vita, impara a sentirla.

Non avere paura della libertà.

Vola Lori.

Vola in alto.

Vola più in alto che puoi.

E quanto in alto arriverai non sarà misurato solo dal livello di popolarità o di carriera che raggiungerai.

Si misurerà con i valori, con la morale, con la gentilezza, con la fermezza, con il rispetto, con la dolcezza, con l’empatia, con la temperanza, con l’espressione delle proprie emozioni e con lo stare nelle proprie sensazioni.

Se riuscirai a essere empatico con te stesso lo sarai anche con gli altri e riuscirai a vivere la gioia.

Coltiva le amicizie, ascolta le storie degli altri, c’è così tanta vita intorno a te.

È nei momenti di condivisione e di empatia che sentiamo la bellezza dell’unione con gli altri e con la vita.

Empatia con qualcuno significa risuonare con questo qualcuno.

È vero che non potrai risuonare con chiunque, ma ricorda che la mancanza di felicità, alle volte, è dovuta all’incaponirsi a voler risuonare con qualcuno con cui non potremmo mai risuonare.

Impara che tu meriti l’amore, meriti di provarlo e di riceverlo.

Impara a perdonarti per eventuali insuccessi o errori, passati o futuri.

Se per perdonarti dovrai passare attraverso la rabbia, fallo, non scacciarla, impara a scaricarla, perché quando non è possibile scaricare la rabbia la difesa dell’organismo è la paura.

La rabbia è l’antidoto alla paura.

E tu non devi avere paura.

Perché la paura blocca.

E invece tu devi volare.

Ascolta il tuo corpo, lui sa cosa vuole, di cosa ha bisogno, cosa lo nutre e cosa lo intossica, assecondalo.

Ascolta la tua mente, sempre brillante e attenta, ascoltala quando intorno a te c’è più silenzio, e nel silenzio abbi pazienza, la risposta arriverà.

Il silenzio Jacky è importante, non sottovalutarlo e non trascurarlo.

Coltivalo invece.

Il silenzio aiuta a formare i ricordi e i ricordi sono fondamentali per affrontare il futuro, i ricordi danno forma alle opinioni e le opinioni ti aiuteranno ad analizzare e ad affrontare le situazioni che nel corso degli anni la vita ti proporrà.

Prendi appunti se vuoi.

Scrivere i propri pensieri aiuta e rileggersi ancora di più.

Leggi, informati, studia, sii curioso, la conoscenza e la cultura rendono indipendenti.

Rincorri i tuoi sogni.

Vola Lori

Vola più in alto che puoi.

Ti meriti il bello della vita.

Sensi di colpa 

Mi sento in colpa se sono felice.

Mi sento in colpa se ho un giorno di ferie e lo dedico solo a me stessa non portando mia madre da qualche parte.

Mi sento in colpa se ho un giorno di ferie e porto mia madre da qualche parte non dedicandolo solo a me stessa.

Mio padre mi dice, porta a fare un giro tua madre, mi sento in colpa perché non ho alcuna voglia di portare in giro mia madre, perché mia madre porta in giro con sé una sensazione di incompletezza, di malinconia e io mi sento in colpa anche per questo.

Io l’ho vista felice solo nelle foto del suo matrimonio, e nelle foto del matrimonio di mia sorella, e nelle foto del mio matrimonio.

Però il suo matrimonio non la completa, mia madre dice che ha sempre rinunciato alle sue esigenze per soddisfare quelle di suo marito.

Però mia sorella ha divorziato, mia madre di che che un matrimonio è anche fatto di rinunce, non si possono soddisfare solo le proprie esigenze a discapito di quelle del marito.

Però io non mi sono sposata in chiesa, mia madre dice che non è sicura che sia valido ugualmente, dice che ha chiesto conferma ad un prete.

Però il prete ha detto che è valido ugualmente, mia madre questa volta tace. Un silenzio rimbombante.

Probabile che pensi che brucerò all’inferno.

D’altra parte oltre a non essermi sposata in chiesa ho portato a sopprimere, per evitare ulteriori atroci sofferenze dovute alla malattia, il mio cane, mia madre dice che ha chiesto al prete se è omicidio. Però il prete ha detto che non è omicidio. Mia madre questa volta pare che creda al prete.

Ecco poi ora ci penso e mi sento in colpa: non è tutto vero quello che dico, ossia è vero, ma io a mia madre voglio molto bene e quindi mi sento un’ingrata, piena di sensi di colpa.

Così su due giorni di ferie il primo lo dedico solo a me stessa, combattendo anche un po’ con i sensi di colpa, ma il secondo lo dedico anche a lei, sempre combattendo con i sensi di colpa.

Perché ne avevo due.

E se ne avessi avuto uno?

Mia madre in macchina dice che stava pensando, poco prima che arrivassi, che spera di morire in ospedale perché se muore a casa può darsi che il suo medico di base si rifiuti di fare il certificato di morte, o può darsi che il suo medico di base muoia prima di lei, ma dice che poi si è consolata pensando che mio marito di medici ne conosce tanti, troverà qualcuno che farà il certificato di morte per sua suocera.

Mamma mi sembra un ottimo primo argomento di conversazione, molto allegro.

Ma a me Maria Emma la morte non mette tristezza, spero che Dio mi porti in paradiso, dove starò sicuramente meglio.

Mamma allora non ci incontreremo perché io sarò quella che brucia all’inferno per aver commesso omicidio e aver contratto un matrimonio civile.

E per non riuscire a combattere i sensi di colpa.

Vita di PI – Pubblico Impiegato – Riflessioni XXIX

Lo avevo già detto da qualche parte che in questa vita ho tante occasioni per esercitare la pazienza.

Vorrei saper scrivere bene per poter inaugurare una nuova saga:
Lo zen e l’arte della pazienza nella vita di un impiegato pubblico.
Potrebbe avere un nutrito pubblico, seguaci curiosi di conoscere il segreto per sopravvivere alle giornate lavorative farcite di rallentante burocrazia, non tanto con il corpo sano, ma soprattutto con la mente sana.

Così, prima di entrare in ufficio, durante il passaggio attraverso il limbo che mi porta a sorpassare la mia personale porta sulla vita parallela da impiegato, io cerco di concentrarmi, cerco di rilassarmi affinché le successive otto ore siano impattanti nel minor modo possibile sulla mia sanità mentale.

Dopo gli ultimi risvolti di un altro anno senza riconoscimenti, né economici, né morali – perché anche le valutazioni lavorative sono state a mio modesto avviso penose, soprattutto se confrontate con le valutazioni dei miei più stretti colleghi – la mia pazienza, la mia calma, la mia mente sono sottoposte a dure prove quotidiane, che, ti dico con gran sincerità, non riesco a superare brillantemente e spesso soccombo ad una rabbia difficilmente incanala bile in qualcosa di costruttivo.

Ma questa mia crescente incapacità di incanalare la rabbia l’ho scoperto solo dopo.
Dopo che?
Dopo che sono andata a parlare col mio capo dei premi e delle valutazioni.

Ero infatti sicura, sicurezza data da ormai anni di esperienza e di esercitazione sulla pazienza, di poter andare a parlare con il mio capo per rappresentargli con calma, dignità e classe, la mia disapprovazione totale nei confronti della mancanza di riconoscimenti.

Avevo intenzione di rimostrare in modo elegante, di contestare in maniera raffinata, usando parole ricercate e di impatto,, sicura che ne sarebbe uscito fuori un forbito discorso, fluente, inappuntabile e brillante, che mi avrebbe aperto porte, anzi portoni, su un futuro lavorativo pregno di gratificazioni.

D’altra parte mi ero preparata da giorni il discorso.
Era lì nella mia mente , lo avevo lasciato decantare, affinché diventasse più armonioso ed elegante lo avevo provato anche in sintonia con delle espressioni facciali.

Ero pronta, ne ero sicura, la calma aveva preso il sopravvento ed io ero pronta a dominare la mia rabbia e la mia delusione.

Ed eccomi, approfittando di un momento di pausa dal lavoro del mio capo che entro nella sua stanza chiedendogli un colloquio.

Dopo un inizio brillante, calmo, dignitoso e raffinato….
È andata più o meno così:
(Io sono quello al centro ovviamente, e il mio capo è quello steso…)

U come Uomini- Il Dentista

Uno degli uomini con cui sono sparita è stato il dentista.
Quando ha aperto lo studio sotto casa mia io ero al primo anno di università e lui per promozione lasciava bigliettini pubblicitari nelle cassette delle poste, e considerato che si trovava a 2 minuti a piedi, sono andata a fare la prima visita.
Lui ha una decina di anni più di me quindi all’epoca ne avrà avuti 29, la prima impressione è stata buona – e lo sappiamo entrambe che non esiste una seconda occasione per fare una buona prima impressione – è per questo che da quel giorno è diventato il mio dentista di fiducia e lo è rimasto per tanto tempo.
Perché la sparizione, la mia, risale a circa 3 anni fa quindi un rapporto dottore paziente durato circa 20 anni…non male.

Ahhahaha lo so sono di più ! Ma non si chiede l’età ad una donna!

Ecco, il dentista è sempre stato molto complimentoso con me, nel senso che mi riempiva di complimenti, con gli anni la complimentosità è aumentata in maniera esponenziale, non mancava occasione in cui non manifestasse il suo apprezzamento, il suo gradimento, il suo consenso, la sua estimazione.
Mi invento le parole?
Ah sì?…

Comunque…tutta questa complimentosità mentre io ero lì sdraiata a bocca aperta con il trapano che mi rimbombava nel cervello l’anestesia che mi addormentava dalla mascella alla tempia e che rimaneva così per le successive enne ore che non si sa perché ma io l’anestesia la smaltisco nell’anno del mai.

E mentre lui si prodigava in complimenti e approcci sempre più espliciti io ero lì che mi sudavo le mie sette camicie in preda ad un’ansia e una paura che solo il rumore del trapano mi provoca stesa sul lettino in pelle che poco aiutava la mia agitazione.

Col tempo la durata dei miei appuntamenti era assimilabile ad un lasso di tempo a dir poco infinito, no, no, non era una mia impressione, era proprio così, a quanto pare col passare degli anni ogni lavoro da eseguire sui miei poveri denti diventava man mano più difficile, è così che il dentista giustificava questa mia permanenza nel suo studio ed ogni appuntamento non era mai quello risolutivo.
Beh insomma all’inizio sì, ad un certo punto riusciva a sbrogliare il bandolo dalla matassa o come si dice.
Tra l’altro dopo un po’ ho iniziato a chiedermi come potessero sopportare questa attesa infinita i pazienti che avevano l’appuntamento dopo il mio.

Col tempo evidentemente la durata della mia permanenza sotto i ferri non era sufficiente e quindi finito l’appuntamento mi invitava nella sua stanza e mi mostrava una qualsiasi sciocchezza che custodiva lì.
Per esempio il suo Mac – no, non fraintendere, intendevo proprio il computer – le fotografie in esso custodite, la musica da lui preferita, i video di lui e la sua band.
Che devo dirti poi non era mica male la sua band.

Col tempo anche questo non risultava sufficiente così ha iniziato a suonare qualche pezzo dal vivo, grazie alla tastiera che teneva lì nella stanza dei balocchi appoggiata al muro, e mi invitava ad ascoltarlo accomodata su quel bel divano in pelle tre posti.
E tutto finiva quando la sua assistente bussava per sollecitargli l’appuntamento successivo.
Che devo dirti anche su questo suona e canta anche molto bene.

Col tempo forse ha visto che avrebbe dovuto coinvolgermi di più, così ha iniziato a chiedermi di unirmi a lui nel canto mentre suonava la tastiera.

Sì, è vero, te l’ho anche raccontato che una delle cose che mi sarebbe piaciuto fare, proprio come sogno nel baule, sarebbe stata la cantante e, non ricordo, ma credo proprio di avere omesso una cosa fondamentale:
sono stonatissima, ma non stonata normale, sono peggio di Flavia Vento quando cantava da Mammuccari…
Strana ambizione infatti la mia…ho cantato anche al matrimonio di mia sorella, l’ombelico del mondo di Jovanotti.
E poi ho cantato anche al compleanno di mia madre, che mio zio suona, come tutti i miei cugini, e cantano tutti oltre a suonare, anche mio padre canta, insomma in quell’occasione mio zio suonava e mentre io cantavo urlava:
tojeteje er microfono!

Comunque ovviamente non ho cantato con il dentista.

E più io non alimentavo i suoi complimenti più i suoi approcci diventavano insistenti.
È ovvio.

Col tempo ha iniziato ad inviarmi email con barzellette che diventavano man mano più spinte che puntualmente quando mi vedeva le richiamava e alludeva a quelle con approcci dal vivo.
Che dire..questo mi infastidiva un bel po e soprattutto quando una volta lo fece davanti al mio nipotino che all’epoca era proprio piccolo e poi a rispondere alle sue domande ero io mica il dentista.

C’è stato poi quel grave lutto che lo ha colpito ed il tutto ha subìto in arresto…

Non subito ovviamente, però dopo un po’ ha tentato nuovi metodi ed è iniziato il periodo dei racconti sulle sue avventure sentimentali.
Beh sentimentali…non so quanto sentimento ci fosse in effetti.
Con quei racconti immagino cercasse di alimentare la mia curiosità sperando di farmi accendere la lampadina della voglia di provare se fossero veri o meno…
Mmmh, no…non si è accesa alcuna lampadina.

E poi alla fine credo di aver capito che sia arrivata anche una storia più seria, ma lui con me cercava sempre di sminuirla tra uno sguardo strano della sua assistente e un suo ammiccamento.
E Giacomino si sposa!
Sì, ma niente di serio…

Certo durante i racconti sulle avventure sentimentali io rimanevo a bocca aperta, ma esclusivamente per il fatto che dentro c’era il suo trapano.
Aridaje! Hai ragione, continuo con questi fraintendimenti.

Che insomma lo sai bene, non è questione che io me la tiro, mi conosci, quando mi piace qualcuno non mi faccio mica problemi.
Qui la questione è un’altra ed è semplicissima:
a me il dentista non piaceva proprio.
Ed è questione che quando non mi piace qualcuno non c’è verso.
Anche se poi alle volte mi incaponisco…
Sì sì hai ragione, mi incaponisco domandandomi come mai non mi piaccia uno che insiste tanto e allora cerco di capire perché ed è per questo che poi un giorno ho accettato il suo invito, un giorno dico di sì, così, quelle cose così e tanto si aspettava un no come risposta che quella volta che ho detto si non ci credeva. Nemmeno io in fondo ci credevo.
E invece siamo usciti.

No, è andata bene, mi sono divertita.
Anche a vedere come non aveva affatto gestito bene la sua organizzazione con chi evidentemente lo aspettava a casa.
Che se squilla il telefonino e alla vista del chiamante inizi a tentennare, stacchi l’apparecchio al volo eliminando il kit viva voce e inizi a:
Non sento bene, la linea è disturbata, pronto, pronto…
E attacchi sorridendo dicendo ho il cellulare un po’ scarico meglio che lo spengo, a me viene in mente solo che la nostra uscita non è alla luce del sole.

No, non è successo nulla, la prova si è limitata all’uscita non sono andata oltre, strano sì questa volta è andata così.

E no, non ha desistito.
Anzi, ha incrementato. Ma incrementato così tanto che per due anni mi ha tenuto in cura un dente.
Due anni, una volta a settimana, per un’oretta circa, oltre agli inviti nella sua stanza.
E non guariva mai.

Ed è allora che io ho iniziato a spazientirmi, dai sono stata anche paziente, in tutti i sensi, e te l’ho detto anche altre volte che lo sono, qui.

Però poi basta.

Ho iniziato a rifiutare i post appuntamento nella sua stanza e a declinare in modo sempre meno diplomatico i suoi inviti serali.

E poi un giorno ho detto che non sarei più tornata che il dente me lo tenevo così che non ne potevo più e lui mi ha detto che così non mi avrebbe più visto e allora potevamo magari uscire insieme e io gli ho proprio risposto no, non ho voglia di uscire con te, con quel tono lapidario che mi esce quando sono all’esasperazione e quella mia espressione no way di cui ti ho già parlato qui.

Lui?

Lui:

“Peggio per te Maria Emma.
Tanto la tua bellezza non durerà per sempre e allora poi vedremo che succederà quando non avrai più inviti da rifiutare.”

Non sono mai più tornata.

I conti li ho saldati ? Certo che sì, per un lavoro incompleto.

Sparito lui?

Beh la verità è che mi ha wazzappato diverse volte, ma io non ho mai risposto.
Ora è un po’ che non si fa vivo.

Ah, il dente? Il dente con tre appuntamenti da un altro dentista ho risolto.

U come uomini – il commercialista reloaded

Come un’anziana previdente signora sono salita all’ultimo piano, li dove c’è lo studio, anche con l’ombrello, non ho voluto lasciarlo in macchina, mi son detta che non si sa mai magari piove.
Fortunatamente il mio ombrello non era nero come quello delle suore di scuola, no, è un ombrello di quelli grandi per nulla discreti, non da borsetta, di un bell’azzurro però.

Poi ero imbarazzata, sì certo meno rispetto all’altra volta.
È che quando sono imbarazzata mi rincarco su me stessa come una vecchia e mi nascondo le mani, quelle orribili mani che mi sono ritrovata.

Rincarco?
Perché non esiste in italiano?
Voce del verbo rincarcare.
Dunque vediamo…è come dire mi ripiego su me stessa, però in modo rude, non aggraziato e quindi mi rincarco. È una parola il cui suono rende l’idea.

Però oggi meno, oggi ero meno rincarcata e le mani le tenevo sul tavolo. Sempre quasi una nell’altra, ma sul tavolo.

Poi dovevo firmare e non mi ero portata gli occhiali e dovevo fare più di una firma e lui mi guardava. Che io mi sento in soggezione se qualcuno mi guarda quando firmo.
E pure tu ciai ragione: sono sempre in imbarazzo! Ogni scusa è buona!

Insomma, fatto sta che alle volte che sono così mentre firmo non riesco a fare quel bel Maria Emma che mi piace tanto e mi viene più un marema, o maena, o giù di lì.

Succede solo col nome, il cognome invece mi viene bene, sempre.

Insomma sì che vuoi ero imbarazzata per quel che era successo quello che ti ho raccontato [qui](https://mariaemmajr.wordpress.com/2013/01/28/in-my-shoes-la-tecnologia-mi-e-avversa/).
Ecco rivedere il commercialista dopo che mi sono un po’ data alla macchia senza tante spiegazioni approfittando dell’estate passata separati, che io lo so come ci si sente quando qualcuno sparisce senza troppe parole, mi imbarazzava.

Solo che insomma io il 730 lo dovevo fare e quest’anno era complicato e poi aveva fatto quell’altro con lui.

Ecco io il mio scotto per essere un po’ sparita l’ho pagato eh!?

L’anno scorso o l’anno prima, credo fosse l’anno prima, anzi sì era proprio due anni fa, è che c’era quella storia tra noi, e allora mi disse che non dovevo pagare e io insistevo e allora lui mi chiese 1€, me lo chiese così, in modo simbolico.
E io lo portai inserito dentro un palloncino, un palloncino a forma di cane, ovviamente no?
Un palloncino piccolo per non dare troppo nell’occhio e anche per non presentarsi così all’appuntamento con 1€ in mano, così mi venne questa idea.

A lui piacque, questo me lo ricordo.
Almeno è sembrato.
Oppure lo disse perché tanto c’era la storia e quindi un po’ doveva dirlo per forza.
Quest’anno non c’è. Anzi, neanche l’anno scorso c’era. E la dichiarazione non l’ho fatta.

Insomma, che dirti, giusto che si è alzata la tariffa.
Del 9.900%.

Ho pagato 100€ infatti.
Niente palloncino quest’anno.

Perché io valgo.

Sì hai ragione. Alluce, alluce valgo.

M poi il calcolo di quanto valgo sarà esatto?!

U come Uomini – prime feste, primi balli, primi no – Parte I

Che poi a proposito di come la timidezza abbia condizionato i miei rapporti interpersonali mi viene in mente quella volta di tanti anni fa.
E lui non mi ricordo neanche più come si chiama.
Ma ho la scusante degli anni.
No, non di quanti ne ho ora, di quanti ne sono passati da quel giorno.
Io ero alla scuola solo femminile, sono sempre stata lì dall’asilo ed è stata a suo modo anche divertente, alcuni episodi poi te li racconterò.
Era il periodo che si facevano le feste a casa il sabato pomeriggio, perché ancora non si usciva la sera, ero alle medie, in terza media per la precisione, che poi precisione con me alle volte è comico. Infatti ora che ci penso non sono sicura della precisazione, facciamo comunque che ero alle medie.
E i ragazzi della scuola solo maschile invitavano noi della scuola solo femminile e le ragazze delle altre scuole solo femminili e noi e le altre invitavamo altre compagne di scuola, era una sorta di passaparola, e poi ci si conosceva di persona e allora si veniva invitati direttamente, sì insomma gli o le escluse c’erano sempre, e allora tu potevi portare un’amica e viceversa se la festa era di una ragazza allora i ragazzi invitavano i loro compagni di scuola e così via.

Alle feste il pomeriggio ad un certo punto si ballava, c’erano i lenti e i ragazzi ti invitavano a ballare, beh sì non sempre, cioè non tutte venivano invitate a ballare. A me sì mi invitavano, me la cavavo abbastanza bene con il mio carnet di ballo, no, non avevamo proprio il carnet di ballo, no, dicevo così per dire che venivo invitata.

Ti immagini come mi sentivo io quando venivo invitata?
Io che neanche pensavo che i maschi si ricordassero il mio nome.
Certi colpi al cuore che non ti dico nemmeno.

A me in quel periodo piaceva un ragazzo, tanto mi piaceva, mi piaceva da bloccarmi il fiato, che andavo in apnea quando lo vedevo, e mi ero disegnata le sue iniziali sui jeans, si avevo quel paio di jeans che adoravo e ci disegnavo sopra, di solito disegnavo animali, io li disegno ancora per i miei nipoti però sono disegni semplici tipo quelli dei film di animazione, li disegno ai miei nipoti che a loro piace tanto, gli faccio i coniglietti, le paperelle, i gattini, i cani no, pensa che strano, i cani non li ho mai disegnati.

E insomma questo ragazzo che mi piaceva tanto un giorno l’ho pure rivisto, un giorno di tanti anni dopo, no nulla di strano nel fatto che lo abbia rivisto, è dove l’ho rivisto la prima volta dopo tanti anni che mi è sembrato strano:
l’ho rivisto in televisione!
Ahahahahahah no, non era sul trono di Maria, e quando l’ho rivisto mi è preso un colpo perché erano anni che non lo vedevo, voglio dire forse erano passati 25 anni, ora ne sono passati quasi 30, si insomma ma che importanza ha fare tutti questi conti? Sai che parlare di età fa cafone no? Come diceva la Audrey in colazione da Tiffany, ah si riferiva ai diamanti, che non si indossano sotto i 40?
Ah, ok.

Quindi un giorno guardavo uno di quei programmi del giorno quelli che c’è un po’ di tutto dentro per far passare la mattina con i fatti di cronaca e i settimanali di gossip e i quotidiani e loro che suonano e cantano e il gioco a premi con le telefonate da casa e le ricette e l’oroscopo che mia zia appena mi vede dice che lo ha sentito e che il mio segno va bene o va male, a seconda…che io le dico zia ma tu sei cattolica e lo sai che questa cosa delle stelle dell’astronomia e le previsioni e il futuro e le cartomanti cozzano con la religione, e lei però continua e mi ripete che questo andrà bene che questo andrà male, che io non lo leggo più l’oroscopo da quando un giorno ho pensato mi abbia portato sfortuna per un esame all’università…

Insomma arriva il momento della consulenza ed ecco arriva lui *apre piano la porta poi si butta sul letto e poi e poi ad un tratto lo sento afferrarmi le mani le mie gambe tremare * Ehm no, non c’entra nulla, arriva lui come consulente perché è….dai non lo posso dire chi è! Però grazie al suo lavoro sta spesso in televisione, dico spesso perché poi dopo quella volta l’ho rivisto nella sua veste professionale e parla così bene, ed è sempre tutto compito e forbito e manierato e però poi dopo quell’occasione l’ho rivisto altre volte, perché la vita è bizzarra e alle volte succedono delle cose che non ti sai spiegare ed una di queste cose è per esempio che non vedi una persona per anni, una persona che magari hai anche conosciuto bene, che hai frequentato assiduamente per un diverso periodo di tempo e poi la vita vi divide e tu non la vedi più, non la vedi magari per mesi o per anni, come se si fosse incastrato qualche meccanismo, perché magari incontri delle persone collegate con lei, ma lei no, e le persone magari te ne parlano e tu sai che è ancora nella tua città però per colpa di un ingranaggio capriccioso non la incontri, sarà colpa delle stringhe o dell’energia oscura o degli universi paralleli o di quelle particolari vicende che Stephen Hawking saprebbe spiegare bene o anche Obi-Wan, dipende.
Poi in un giorno che non ti aspetti il congegno si disincastra all’improvviso, che non hai capito che è successo però un giorno qualunque in un momento qualsiasi mentre stai guardando una trasmissione che non guarderesti mai ma che quel giorno non sai perché ti ispira, rivedi quella persona di tanto tempo fa e poi dopo quella volta proprio perché il congegno disincastrato ha fatto sì che si aprisse probabilmente un varco spazio – temporale allora la incontri per alcune volte di seguito e poi magari il meccanismo si inceppa di nuovo e non la rivedi più.
boh io questa cosa non l’ho mica mai capita…

E lui dopo quella volta l’ho rivisto anche non in televisione, ma la sera in giro per la città, nelle piazze quelle che le sere d’estate stai fuori a bere una cosa e fare due chiacchiere o nei ristoranti o nei locali quelli con tante stanze con la musica differente o anche quelli che hanno la musica dal vivo o quelli che anche se hanno la musica a nessuno interessa.

E ti devo dire la verità che la veste professionale in queste occasioni viene stracciata completamente e si torna ad essere quello che si è sul serio, però è così, pure io lo faccio e come me e come lui tanti professionisti che conosco lo fanno.
Io no, in effetti, io non mi ritengo più poi tanto una professionista, io sono un’impiegata e la mia professione da tanto che non la esercito, l’ho stracciata quando ho preso questa decisione, ma tant’è.

Insomma le feste il pomeriggio erano tutte coca cola e panini i ripieni e balli lenti e balli veloci e si ballava maschi con femmine ed era bello, ed i lenti si ballavano che tu mettevi le mani sulle spalle di lui e tenevi le braccia tese come a tenerlo lontano da te e lui teneva le sue mani sui tuoi fianchi anzi sopra sulla vita e le braccia tese e poi spostavi il peso del corpo da un piede all’altro e contemporaneamente giravate a formare un cerchio.
Questo se non ti piaceva.

Altrimenti c’era il momento in cui ti invitava quello che ti piaceva e allora si ballava che tu le braccia un po’ gliele tenevi intorno al collo e un po’ ti appoggiavi con la tua guancia sulla sua spalla oppure mettevi solo un braccio intorno al suo collo e l’altra mano l’appoggiavi sulla sua spalla corrispondente e il tuo avambraccio allora si appoggiava sul suo petto, certo se lui era più alto perché se lui era più basso allora no e poi un po’ vi guardavate e un po’ vi parlavate e un po’ appoggiavi il viso sul tuo braccio che stava intorno al suo collo e le sue braccia ti avvolgevano sì ma non tanto solo un po’, era tutto fatto con quel timore che hai paura di esagerare che vorresti ma ti batte il cuore e non sai bene che dire e io cercavo sempre qualcosa di intelligente da dire e la mia mente invece era vuota e vuoi che la canzone non finisca e poi quando finisce cosa fai?
Mi allontano dall’abbraccio, sì, ma poi vado via o continuo una conversazione che praticamente non è mai iniziata ?
Io credo che Nanni Moretti per quella scena di Ecce Bombo l’ispirazione l’abbia presa da feste del genere, mi si nota di più se finita la canzone mi allontano subito o se rimango lì vicino a lui, e se io rimango lì e lui si allontana mi si nota di più se rimango ferma come un baccalà ma cerco di fare la vaga o se magari mi avvicino al tavolo del buffet…?
insomma un imbarazzo, però bello.


  • Continua –

In my shoes – La timidezza

Certo se ci ripenso ora mi viene da ridere, alle volte solo da ridere di cuore, altre volte è una di quelle risate profonde che non riesci a smettere che inizia a mancarti il fiato e hai i singulti, quelle che però poi sono così profonde che toccano dei punti così inabissati che è come se i singulti si trasformassero in singhiozzi che poi sono la stessa cosa e ti accorgessi che le cose che stai ricordando alla fine ti hanno lasciato un po’ di amaro in bocca e dentro l’anima.

Perché sai, alcune di quelle cose che da piccola mi hanno segnato e mi hanno fatto soffrire col tempo le ho superate ed è come se le sensazioni che mi avevano provocato le avessi cancellate, ma altre invece col tempo si sono solamente sbiadite, sono come quel tatuaggio che ormai ho fatto saranno 20 anni e se lo guardi in qualche punto la pelle ne ha assorbito il tratto e certi contorni sono scoloriti mentre altri si sono fusi con quelli vicini e non è più facilmente riconoscibile cosa sia tranne che per me e se volessi potrei coprirlo con qualcos’altro e scomparirebbe alla vista, ma sotto ci sarà sempre.

Alcune cose della vita per me sono così.
Ed in particolare è così la mia timidezza e le cose che mi ha spinto a fare e le cose che mi ha spinto a non fare e come ho reagito a lei da piccola, da adolescente e come reagisco a lei ora.

Adesso se penso ad alcune vicende di quando ero piccola legate alla mia timidezza rido e sono quelle risate lì, quelle profonde che però ogni tanto sono amare, tanto amare, e altre volte invece sono risate che escono fuori con gusto e l’altra volta passeggiavo col mio cane, quello più anziano, quello che ora quasi non riesce più a camminare, quello che mi piacerebbe tanto potesse parlare perché un’ancora di salvezza alle volte dovrebbe poter parlare e mi è venuto in mente un episodio.

Non so come mi sia venuto in mente, ma mi capita così quando passeggio con il mio cane e lo guardo e lo vedo sfiorire, mi vengono in mente i ricordi più strani anche se con lui magari non c’entrano nulla.

Insomma, l’altro giorno mi è venuto in mente quell’estate, avrò avuto circa 5 anni ed ero timida, così timida da non parlare, che detto così sembra che lo fossi solo quella particolare estate, ma invece no, lo ero anche prima e poi anche dopo e poi anche ora, è che non so come spiegarmi, che mica è facile spiegare come mi faceva sentire la timidezza, che quando mi dicevano ma di che ti vergogni poi non sapevo spiegarlo bene, non so farlo nemmeno ora.

Vediamo, potrei dire che era come se mi sentissi all’interno di una scatola, una grande scatola, magari non molto grande, una media scatola, va bene anche una piccola scatola, di quelle che hanno le pareti come nelle sale di registrazione, tutte foderate di materiale fonoassorbente, morbido, che è fatto a forma di tante piramidine che fuoriescono e vengono verso di te, e la mia timidezza mi faceva sentire come fossi lì dentro, e mi accorgevo di essere lì dentro, e lì dentro non mi piaceva, e sarei voluta uscire, ed era come se urlassi alla timidezza di lasciarmi in pace, ed era come se lei non mi sentisse con tutte quelle piramidine, ed era come se sbattessi i pugni sulle piramidine, ma tanto non si rompevano, ed era come se ci fosse stata un’uscita, io la vedevo, era come fosse una scatola con solo un lato aperto, magari proprio il lato alto, quello più difficile da raggiungere.
E vedi l’uscita e magari col tempo escogiti anche un metodo efficace per uscire, ma c’è sempre la timidezza li in agguato a deriderti quando non ce la fai, a demoralizzarti ulteriormente quando fallisci, a schernirti quando trovi il coraggio, e lo fa per paralizzarti, per non farti tentare.

Ecco, sai che mi viene in mente? Quel film, non so se lo hai mai visto quel film: cube, no non Ice Cube, no lui è un cantante, sì poi ha fatto dei film, intendo quel film dove alcune persone si ritrovano in una scatola di forma cubica con aperture su ogni lato che portano ad altre stanze cubiche con altrettante aperture ed in alcune di queste stanze esiste una trappola anche mortale e le stanze si muovono una intorno all’altra e loro non riescono a ricordare come sono finiti lì dentro e cercano di uscire e capiscono che le stanze sono numerate con potenze di numeri primi e i cubi si muovono secondo permutazioni che no, non ti saprei proprio spiegare bene cosa siano, ma per individuare le stanze senza trappole bisogna fare dei calcoli sui numeri primi e sono calcoli complicati e insomma se ne salva solo uno e quindi, quindi mi viene in mente la solitudine dei numeri primi e che ti ho svelato il finale del film.

Oppure, oppure non so se hai mai fatto uno di quei sogni in cui vorresti scappare e provi a correre, ma non riesci e i passi sono pesanti e le gambe non riesci a muoverle così veloci come vorresti e hai il fiatone dato dall’ansia e senti di essere in trappola e non riesci ad essere così veloce da scappare.

È come quando dici no non la faccio la pista rossa che casco, ma scii da 30anni e nei hai fatte altrettante di piste rosse e non è una novita la sai fare e però poi la fai e caschi e dici vedi sono cascata e hai fatto tutto da sola.

Non so se mi spiego.

La mia timidezza era subdola, mi condizionava nelle azioni, nei pensieri, anche nei semplici movimenti del corpo e nelle parole, le parole non dette o emesse celermente quasi a volersene disfare in fretta per paura, di cosa non so.

La mia timidezza era ingannatrice, tanto che, per assurdo, mi faceva fare e dire cose che invece che trarmi d’impaccio mi invischiava nella difficoltà e mi faceva sentire ulteriormente a disagio.

Un circolo vizioso creato dalle persone timide esclusivamente per loro stesse, per farle sentire ancora più timide e ancora più in soggezione.

E francamente non so neanche perché io stia utilizzando l’imperfetto o forse sì, perché in fondo è tutto lì, nell’imperfezione, ma è anche qui ed ora, ancora.

Ritorno a quell’estate quando eravamo in piscina e mio padre mi aveva chiesto di andare al chiosco a prendere due supplì e una crocchetta.

Io? Devo andare proprio io? Non può andare mia sorella? che lei è quella spigliata, io mi vergogno, mi vergogno!

Ed è ovvio che io queste parole le abbia solo pensate.

Mi vergognavo di chiedere a quelli del chiosco che conoscevo da tante estati di chiedere due supplì e una crocchetta, avevo così tanta paura come se avessi dovuto portare al chiosco una valigetta carica di esplosivo per far saltare in aria loro, la piscina, tutti gli ospiti, me, i miei genitori, e poi avessi dovuto negare di fronte ad un tribunale internazionale, che non so come avrei potuto fare a stare davanti ad un tribunale se ero saltata in aria con la valigetta…

Insomma mi incammino verso il chiosco, con un’andatura lenta, giusto per allontanare sempre più il momento cruciale e durante tutto il tragitto ripetevo nella mia mente tutti modi possibili per poter dire la frase, per arrivare al chiosco pronta per questa impresa che a me, dal fondo del pozzo infinito della mia timidezza, appariva epica, mastodontica, mi sentivo come Davide di fronte a Golia, solo che Davide poi ha vinto.

Due supplì e una crocchetta per favore. Buongiorno vorrei due supplì e una crocchetta, grazie. Buongiorno per favore due supplì e una crocchetta, grazie. Per favore prendo due supplì e una crocchetta.

Arrivo, mi avvicino al bancone, mi appoggio con le me mani, mi tiro su sulle punte, appoggio quasi il mento, mi sporgo, lui dietro al bancone mi guarda, dimmi mi dice, mi viene un colpo al cuore neanche lo stessi per rapinare, e mi esce veloce tutto d’un fiato:

due crocchì e una suppletta.

Cosa ho detto?
Due crocchì e una suppletta!??

E mi rimbomba nella mente:
Due crocchì e una suppletta!??
Due crocchì e una suppletta!??
Due crocchì e una suppletta!??

E ora mi viene troppo da ridere a ripensarci e l’altro giorno che passeggiavo col cagnone sono scoppiata a ridere così da sola ridevo e cercavo di fermarmi e poi riprendevo a ridere, oddio anche adesso un po’ mi scappa da ridere.

Ma allora non mi sono divertita affatto.

E non è che io diventassi rossa per la vergogna.
No.
Io diventavo viola.
Wroom.
Tutto d’un tratto.
Wroom.
Viola.
Dal bianco.
Al viola.
Senza passaggi intermedi.
E lo sentivo, me ne accorgevo.
Il viso, wroom, diventava bollente, lo sentivo trasformarsi in una maschera incandescente.
E me ne accorgevo ma non riuscivo ad evitarlo era questione di millesimi di secondo.
Neanche i centesimi di secondo quelli per i quali che ne so gli atleti perdono al taglio del traguardo.
No.
Erano porzioni di tempo ancora minori.
Porzioni di tempo infinitesime, per una sensazione di imbarazzo infinita.
Perché dico wroom?
Non saprei ho sempre avuto l’impressione che quello fosse il rumore della manifestazione della mia timidezza sul mio volto.
Wroom.
Anche il rumore wroom dell’invalicabile ulteriore muro che si ergeva tra me e il mondo quando sentivo l’inarrestabile rovente scarica viola.
Wroom.

U come uomini – Il maestro di sci II

Li vedo sempre quel papà e suo figlio nel passeggino, li vedo sempre perché si vede che siamo i patiti del primo vagone della metro e si vede che il tempo per noi gira sempre allo stesso modo.
E lui mantiene sempre il contatto con il suo bambino che spesso dorme, gli tiene una mano, gli accarezza la testa, i piedini, il viso, non lo lascia mai.

Io mi lascio invece ogni tanto.

Perdo il contatto.

Succede spesso quando non sono convinta di essermi comportata come avrei voluto.

Mollo gli ormeggi e mi lascio vagare nell’oceano dei miei dubbi e delle mie incertezze.

Perdo il contatto con la terra ferma.

Gli unici sintomi della sparizione dello skyline alla mia vista sono l’interruzione della lettura e della scrittura.

L’ultima volta che è successo è stato per quanto è accaduto con il maestro di sci. La lettura l’ho ripresa prima della scrittura, ma la scrittura, quella sì, l’ho lasciata per un po’. Subito dopo il post su di lui, sul maestro di sci.

Perché poi dopo la telefonata non ho resistito e il primo weekend disponibile sono andata da lui e il primo weekend disponibile era quello della stessa settimana in cui mi ha telefonato. Non ho perso tempo, ho preso subito la palla al balzo. Ma al concerto di Vasco quest’anno non vado purtroppo.

Non ho riflettuto un secondo e ho lasciato i cani e non è tanto nel fatto di lasciare i cani perché è capitato altre volte, ma è tutto nel modo in cui l’ho fatto. Perché si dice che molte volte sia come fai le cose che può dare fastidio piuttosto che le cose stesse.

E mi era già successo per questo sono consapevole che se lascio i cani in quel modo vuol dire che sono in un equilibrio precario tra il desiderio e il pozzo.

Vuol dire che sono un funambolo sulla corda tesa delle mie insicurezze.

E li ho mollati, si certo erano a casa dei miei e chi meglio di loro se ne può occupare, però li ho mollati proprio così come fossero loro a sbilanciarmi a farmi perdere l’equilibrio a farmi rischiare di mandare a puttane lo spettacolo cadendo al suolo e ridicolizzando l’intera comunità itinerante.

E vorrei raccontare come si sono svolti i fatti, vorrei raccontare di come sono passata sopra al modo in cui non ci eravamo più sentiti, al modo in cui non sono riuscita a gestire la situazione.
Vorrei raccontare di come ero eccitata all’idea di rivederlo, perché poi forse era tutto là il suo segreto tutto in quello che mi provocava.
Quello che mi provocava, il fascino che su di me esercitava la sua vita vissuta nell’aura di un’apparente anticonformismo, nel suo raccontarsi al di sopra degli schemi, nel suo proporsi agli altri con una vita scelta un giorno dopo l’altro, svicolando tra i condizionamenti e scartando i vincoli di una quotidianità banalmente comune ai più.
Vorrei raccontare di come sono stati quei tre mesi, quei miseri 90 giorni, che se li racconti volano, se li vivi però camminano, ci sono quelle persone e quelle situazioni che provocano in un lasso minimo di tempo sensazioni che rimangono incise a bulino sulla pelle dell’anima.

Ed è inutile ormai metterlo nero su bianco, perché non esiste nulla di particolare in quello che è successo. Non esiste nessuna scena degna di essere girata a colori e con il sonoro. Ma neanche in bianco e nero e con le vignette. E se è rimasta della pellicola dei mesi precedenti a questi, possiamo distruggerla, darle fuoco, il mondo non sarebbe privato di alcun capolavoro.

E poi le immagini e le parole a cosa servono se non a provocare sensazioni?

Le posso quindi tralasciare, posso cancellare tutte le nostre parole, tutte le immagini che ci ritraggono insieme perché le sensazioni le ho ben chiare.
Ma purtroppo non riesco a scinderle, queste sensazioni mi evocano immagini, davanti ai miei occhi proiettate come tanti flash ad intervalli irregolari che fendono la nebbia del risentimento che covo nei confronti di me stessa per aver perso l’equilibrio, aver mandato a puttane lo spettacolo, nella caduta aver perso la vis insita con l’inevitabile conseguenza di essere rimasta in balia dei suoi malumori e dei suoi buonumori, delle sue voglie e delle sue avversioni, del suo appagamento e del suo disappunto.

Per poi scoprire che mi potevo anche sentire peggio rispetto a come mi sono sentita ad essere un corpo roteante nel vortice dei suoi sinonimi e dei suoi contrari, ed è come mi sono sentita quando sono diventata un corpo inerte.

Come gli inerti non reagivo con l’elemento con cui ero in contatto, non subivo alcuna modificazione durante la fase di indurimento del legante e come questi contribuivo ad aumentare la velocità di reazione, a diminuire il tempo di indurimento, massimizzare la durabilità, la resistenza alla compressione, la resistenza alla frantumazione.

Lui, infatti, unico legante di questa storia – perché era di certo lui che teneva legata me, io non riuscivo affatto a tenere legato lui a me – iniziava ad indurirsi.
Indurimento dovuto ad una evidente sazietà nei confronti della mia presenza. Che non era sinonimo di soddisfazione, gratificazione e benessere che si prova dopo aver soddisfatto un desiderio o anche un bisogno.
No.
Intendo un senso di nausea, di stuccamento, a rapida essiccazione, compatto e molto resistente, formato da componenti che fornivano un’elevata protezione contro l’osmosi, di semplice applicazione, facilmente spatolabile e utilizzabile anche nelle condizioni più estreme.

Ma la comunità itinerante ne è uscita illesa, solo io, funambola invischiata nel groviglio creato dalla mia inerzia, sono rimasta offesa.

Offesa con me stessa.
Per non aver reagito in un primo momento e aver reagito in modo del tutto diverso rispetto a come avrei voluto in un secondo momento, quando durante quella telefonata lui mi ha chiesto se pensavo che stessimo insieme perché la sua amica gli aveva chiesto di me ma lui le aveva detto che non stavamo insieme e lei gli aveva consigliato allora di non avere con me quegli atteggiamenti che aveva di non comportarsi così con me anche in mezzo alla gente perché dal suo comportamento sembrava proprio che stessimo insieme e lui durante la telefonata voleva sapere cosa io pensassi perché se avessi pensato così ossia che io e lui stavamo insieme allora lui con quella telefonata voleva chiarire tutto voleva dirmi che non aveva intenzione di stare insieme a me che non l’aveva mai pensato che non voleva farmi credere questo con il suo comportamento che allora se era così forse sarebbe stato meglio non vedersi più perché lui non voleva stare insieme a nessuna e non voleva che io continuassi a fraintendere e io certo ma che dici non lo avevo mica pensato che stessimo insieme che anche io mica voglio stare con te che non avevo assolutamente frainteso il suo comportamento che non c’era bisogno di nessuna spiegazione che potevamo tranquillamente continuare a vederci che così a me andava bene è sempre andata bene così che mica da oggi in poi non ti farai più sentire che guarda che ho capito benissimo la situazione a me sta bene così continuiamo a vederci.

Il prevedibile epilogo della storia: lui non ha più chiamato e non ha più risposto alle mie telefonate.

"Ho un amico – disse alla fine Lisa – è un’artista, uno scultore.
[…]
L’ultima volta che sono passata da Jason stava lavorando ad una nuova idea. Riempiva di gesso degli imballaggi vuoti, usava la plastica con le bollicine che usano per avvolgere i giocattoli, o i pezzi di polistirolo per proteggere i televisori, hai presente? Bene, lui li chiama: "
spazi negativi".
Li usa come stampo e crea delle sculture.
Aveva centinaia di oggetti nel suo studio…forme fatte con porta uova, blister di spazzolini da denti, la plastica sagomata di una confezione di cuffie stereo… …camminavo nel suo studio guardando tutte quelle sculture bianche e ho pensato:
È esattamente ciò che sono io.
È ciò che sono sempre stata, per tutta la vita.
Spazio negativo.
Sempre in attesa di qualcuno, o di qualcosa, sempre in attesa di un sentimento reale che mi riempisse e mi desse una ragione…"

Shantaram

Rapporti interpersonali – i primi 40 anni – Demoni e Montagne

Come? Quale faccia? Ah, la mia… È che stavo pensando. No, nulla. Sì insomma….
Che anche se è una grande città nei locali ti capita di rivedere le stesse persone, anche se passano gli anni sembra che alcuni siano lì da sempre che non si siano mai mossi che il tempo si vede che è passato solo perché hanno più rughe intorno agli occhi.
Gli uomini, perché le donne no. Le donne non si capisce bene che età abbiano, ma tu lo sai perché erano lì quando c’eri anche tu, lustri fa. Perché alcune donne a queste cose ci tengono. Sì è vero, lo sai, io anche ci tengo. Le rughe no, quelle no, quelle proprio non si intonano con quel vestito che ho comprato l’altro giorno. E no, non riesco a fare come la Magnani. Sì lo so che non è di marca il vestito e l’ho preso dal cingalese quello che ogni due settimane sta alla fermata della metro, però a me piaceva e poi ormai cosa me ne può importare più delle marche.
Poi sai che ti dico che io non ho mica più 15 anni, mica ancora vado a scuola quella solo femminile, quella che se non hai la marca non fai parte del gruppo delle fiche. No, io ora vesto low cost.

E insomma loro te li ritrovi lì anche dopo anni e non è quello che mi distrae perché anche io sono in giro da tanto. Te lo ricordi, no? Sono passati quasi 25 dai sabato pomeriggio in discoteca. Quindi no, non è quello.
È l’atteggiamento che mi disturba. Quell’aria di superiorità che si portano dietro da sempre.
Quell’atteggiamento da ragazzaccio che fà un po’ vissuto, che fà un po’ più grande. Quell’aria che quando eri adolescente sembrava normale assumere. Che però ora è un po’ stonata.
Quello sguardo dalla testa ai piedi che ti scruta per vedere se sei di cachemire o di lana caprina. Che a me ad oggi sembra del tutto superfluo. Appunto mi sembra proprio de lana caprina. No, non de romano, complemento…vabbè anche de romano ci sta bene.

Quell’aria sfrontata di chi ha scalato le montagne più alte. Che invece le vette con maggior pendenza su cui solitamente si inerpicano sono i gradini che li portano nei privé dei locali.
Quell’aria di chi ha tante storie da raccontare perché ha girato il mondo perché le possibilità c’è l’ha, ma poi invece il mondo più lontano che ha visto è quello a due ore di macchina o ad un’ora di volo perché l’estate la passa sempre nello stesso luogo e i soldi di papà e le sue possibilità se le gioca tutte là.

Quell’aria di chi è sopravvissuto a chissà quali avventure al limite del possibile e provato chissà quali emozioni che a raccontarle non ci si può credere, che invece la cosa più avventurosa che sono riusciti a fare è il safari in mezzo al traffico con il macchinone per riuscire a schivare le vetture più piccole e l’emozione più grande provata è quella di aver trovato parcheggio vicino al locale.

Perché quelli che invece i soldi di famiglia li hanno saputi sfruttare e far fruttare qui ci tornano solo in vacanza e sono quelli che quando li rincontri è come se non fosse passato un giorno, quelli che se ti vedono non si chiedono più se saluti prima te o loro, quelli che ti saltano al collo e non hanno atteggiamenti superiori perché un po’ di mondo al di là di questo lo hanno visto e hanno dato il giusto peso alle cose che quindi anche se hai il vestito comprato dal cingalese non importa, quelli sì che secondo me hanno da raccontare avventure e che se pure tu non ne hai tante da raccontare a loro perché la tua vita è sempre qui nella solita routine non ti fanno sentire un idiota e anzi ti senti in sintonia perché mica è più importante quello che pensavamo quando eravamo quindicenni che noi quindici anni non ce li abbiamo più e che i 40 sono un’altra cosa non sono i nuovi venti, perché la vita va avanti quindi sono proprio 40 e basta.

Perché poi quelli lì quelli di prima hanno quell’aria lì quell’aria di chi nella vita ha dovuto combattere contro il demone che ha dentro, perché avere l’aria di chi ha dovuto combattere per essere ancora qui fa fico, magari rimorchio, quell’aria un pò di mistero di chi ha dovuto chissà cosa passare nella vita ha sempre il suo fascino. Che invece l’unico diavolo che conoscono è quello che hanno urlato contro chi gli stava per rigare la macchina nuova per una manovra troppo azzardata.

Perché io poi mi fermo a pensare a quelli che ho conosciuti quelli che con il diavolo dentro ci hanno combattuto sul serio, quelli che per esempio il demone della droga lo hanno vinto, quelli che dopo aver vinto magari gli è successo che lo stesso demone gli ha portato via il fratello in una notte qualunque, così quando meno te lo aspetti e il demone del guidatore dell’altra auto che magari lui non c’era riuscito a vincerlo e quindi non ha visto e al fratello lo ha proprio preso in pieno mentre camminava sul bordo della strada per tornare a casa.
E allora poi ti rimane dentro tutto questo e tu devi riprendere a combattere quell’incendio che ti divampa internamente e lo devi spegnere che se non riesci a spegnerlo poi sai dove ti può portare perchè lì ci sei già stato, ma non ci vuoi più tornare.
Ed è nei loro occhi che tutto si vede realmente, nei loro occhi si vede, ma poi se ti incontrano sono tutto tranne che supponenti non sono lì che ti vogliono insegnare qualcosa, eppure tu da loro potresti imparare tanto, potresti imparare come non mollare quando tutto sembra che ti crolli addosso.

Quelli che le montagne le hanno scalate sul serio, le montagne di una partenza improvvisa per un paese di cui non si conosce neanche la lingua, le montagne del dover mollare tutto perché qui è diventato pericoloso rimanere, le montagne dell’essere solo senza famiglia e amici e ti tocca cominciare da capo, che senti la voce al telefono rotta dal pianto perché il tuo è l’unico numero che ricordano a memoria e gli hanno rubato lo zaino e non hanno più niente solo queste poche monete per fare una telefonata e scelgono di chiamare te per dirti che stanno partendo, ma non credono di tornare un giorno, ma forse sì, però ti chiamo io o ti scrivo perché è più sicuro se neanche tu sai dove sono. E quando li rivedi hanno quella luce negli occhi che illumina anche te che sei lì davanti a loro.
Quelli che sono arrivati in cima alle montagne e sono riusciti a godersi il panorama.

E per tanti che ci sono riusciti a godersi il panorama c’è ne sono altrettanti che non ce l’hanno fatta e il demone magari quello della depressione li ha ingoiati, ma prima di ingoiarli ha cercato di salvarsi passando a qualcun altro, quel qualcuno che è stato chiamato poco prima che l’altro la facesse finita. E ci sono le persone che rimangono che il loro lutto se lo portano dentro e che però non ti fanno pensare che loro una storia vera c’è l’hanno da raccontare che però se guardi bene lo vedi e se vuoi loro te la raccontano anche, ma non pretendono nulla.

Quelli però se li incontri una sera non gli importa niente se hai il vestito del cingalese, quelli no e a me neanche e non so a te, ma se non importa neanche a te allora se vuoi ti ci accompagno dal cingalese.